armata storia
 

L'Armata a cavallo - Storia

“I racconti de L’armata a cavallo nascono dall’esperienza viva di Babel’ sul fronte russo-polacco della guerra civile seguita alla rivoluzione. L’autore, che nella propria opera chiama se stesso Ljutov, fu al seguito della Prima Armata a cavallo del mitico generale cosacco Budènnyj.
Il piccolo intellettuale ebreo occhialuto educato alle dolcezze e alle profondità dell’ebraismo khassidico chiede di unirsi ai feroci cosacchi rossi che, pur avendo scelto di battersi per la rivoluzione, hanno iscritto nella propria cultura più profonda un selvaggio antisemitismo nutrito da una storia secolare di massacri di ebrei. Babel’-Ljutov cerca un battesimo di violenza per ottenere una piena legittimità di rivoluzionario. Non ci riuscirà. Rimarrà sconfitto dall’insanabile contraddizione con il proprio ebraismo, dal comandamento “non…ucciderai!”.”
Lo spettacolo narra piccole vicende, insieme tragiche e liriche, nella temperie della guerra civile tra Bianchi e Rossi, che divise gli uomini fra loro: padri da figli, fratelli da fratelli, mariti da mogli. Emergono ritratti di uomini semplici che vengono visti nella loro lancinante e disperata umanità. “Fra tutti troneggia il robivecchi Ghedali, il cieco venditore di cianfrusaglie, che vuole conciliare ebraismo e rivoluzione e va gridando al vento: «Dov’è la dolce rivoluzione? La rivoluzione è gioia e felicità. Noi lo sappiamo che cos’è l’Internazionale, dateci un’Internazionale di uomini buoni. Noi tessereremo ogni anima al partito e le diremo: siediti alla tavola della vita anima e gioisci!».
«Ghedali – dice Moni Ovadia – è il personaggio che più amo. Rappresenta la contraddizione più straziante, più illogica della rivoluzione. I processi di liberazione sono sempre in contrasto con la fragilità dell’essere umano. L’uomo è vulnerabile, troppo precario e complesso al cospetto delle grandi tragedie storiche.»
Konarmija si dipana come una partitura di immagini, suoni, musiche, canti e parole con cui combattono i due grandi cori dei bolscevichi e degli zaristi. In mezzo ai due “eserciti” un drappello di musicisti cavalleggeri rossi suonerà l’epopea dei rivoluzionari mentre gli attori racconteranno e grideranno lo sgomento dei piccoli uomini sconfitti.”
Sul piano stilistico, lo spettacolo coniuga alla dimensione narrativa il linguaggio dell’epos, che parlerà – esperienza teatrale nuova per Ovadia – attraverso la poesia delle immagini e dei filmati curati da Mauro Contini, storico braccio destro di Carmelo Bene. «Abbiamo utilizzato materiali di repertorio cinematografico e documentaristico e filmati girati apposta per lo spettacolo – spiega Contini – che rappresentano lo scontro tra l’armata bianca e l’armata rossa. Questi filmati sono stati elaborati graficamente al computer per essere trasformati in dipinti, “quadri in movimento”.»
Grande protagonista la musica, perlopiù brani d’epoca, rielaborati, in alcuni casi, per accentuarne il ritmo epico, la retorica delle marce di guerra originali.
Lo spettacolo è recitato in russo, yiddish e italiano. «Le prime due sono le lingue dell’interiorità musicale dell’evento – spiega Moni Ovadia - poiché una lingua è prima di tutto un sistema sonoro». Le parti in russo e yiddish sono interpretate anche in italiano, «lingua della comprensione, del senso».

   
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