Kafka-note © Photo: Maurizio Buscarino
 

Il caso Kafka - Note d'autore

Nell’immenso deposito di storie interrotte, di ritratti, di immagini, di sogni e di gelide apparizioni scolpite nel buio delle Confessioni di Kafka un po’ di luce è riservata ad un tale di nome Jizchak Lowy, attore ebreo.  Kafka lo incontra al Caffè Savoy, nel 1911, a Praga. Intorno a Lowy sono sei attori e musicisti che sudici e incerti recitano, cantano, si contorcono in yiddish. Sin dalla prima recita annotata nel diario per Kafka è subito passione.
Nella partitura di rumori estranei alla vita, nel mistero kafkiano che giorno per giorno si compie in assenza di vita, fa breccia, si insinua il canto un soffio caldo di sorprendente verità umana. Lowy diventa un possibile compagno da seguire, da cercare. Un’anima in cui frugare piùliberamente di quanto non possa accadere nel femminile, in Felice, Julie, Milena, Dora. Non si illude mai Kafka, ma per Lowy risuona un possibile risarcimento, uno scambio, gli è grato di esistere. Il padre tenta di massacrare anche questo legame, lo ammonisce di
non mescolarsi alle pulci dell’ebreo. Si frequentano clandestinamente, Lowy aspetta l’amico al freddo e dalla strada guarda la luce alla finestra della casa-trappola dello scrittore. I drammi, le storielle, i canti incantano
Kafka, non certo perchè gli interessi il Teatro. L’incantesimo è la tradizione, la stessa in cui saprà inoculare inguaribili bacilli, il soffio elettivo mescolato alla certezza che renderà quegli attori vittime espiatorie, “decadenza di ghetto prossimo ad essere demolito”. Kafka vagheggia in loro un certo grado di irraggiungibilità, una terra ospitale dov’è possibile esistere in comune. In quella cinquantina di pagine dei Diari che recinge il Caffè Savoy e l’amico Lowy, fa capolino il colore della vita kafkiana, la salvezza solamente intravista e certamente, ineludibilmente, negata.
Il caso Kafka è dizione tratta da Walter Benjamin, caso perchè la profezia vi ha lasciato sospesi irripetibili annunci ed echi di intraducibile norma. Jzkach Lowy - il suo fratello postumo Moni Ovadia - è la porta che si apre su quelle voci perdute, sterminate nei campi nazisti, insieme alla lingua-scrigno cui Kafka dedicherà una conferenza, lo yiddish. La porta esiste, nessuno potrà aprirla. Di Lowy Kafka dirà come del volto in cui, fragilmente, disperatamente, la porta e quello che sta oltre la porta coincidono. Amshel è il nome ebraico con il
quale Kafka non riuscirà mai a congiungersi, se non pochi istanti prima di morire, il calco di Lowy su un ipotetico Kafka. Qui, in questa fèerie per immagini, oggetti, voci sommerse dedicata al grande scrittore praghese,
Kafka - per voce di Bruno Ganz - si limita ad apparire, accennare, sparire accanto ai suoi disarmanti compagni di viaggio.  Su una irrappresentabile biografia in cui non c’è piùtraccia di ricordo nè chance per il teatro, ma il
semplice gesto che installa le cose, le voci, i canti, la salvezza amara e intellettuale, unico rifugio messianico. La letteratura.

Roberto Andò Moni Ovadia

   
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