Caro Ovadia, gli idoli del mondo seppelliamoli tutti con una risata
 

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di Claudio Magris

Il Corriere della Sera - 10/03/2005

 

L' INCONTRO: Claudio Magris si confronta con l' artista yiddish sul rapporto fra le grandi religioni e l' umorismo.

«Il male comincia quando le Scritture diventano strumenti di potere».

 

Anni fa, durante una tavola rotonda, fu chiesto al cardinale Tonini e al rabbino Toaff di sintetizzare in una frase l' essenza del cristianesimo e dell' ebraismo. Il primo rispose «Ama il prossimo tuo come te stesso», il secondo «Non ti farai idoli». C' è un nesso profondo fra questi due comandamenti. Se si è idolatri, superstiziosamente e feticisticamente succubi di falsi e oscuri ordini, divieti, poteri, convenzioni e fantasmi che si proclamano assoluti, non si è capaci di amare, perché non si è liberi. L' idolatria nasce quando un valore o una realtà finita - anche apprezzabili, come ad esempio la nazione o un' idea politica, ma sempre limitati e relativi - vengono ciecamente adorati e obbediti come se fossero l' infinito. L' unico assoluto, dicono invece le grandi religioni monoteiste, è Dio, del quale perciò non si può dire nulla; non si può pretendere di definirlo, rappresentarlo, spiegarlo, possederlo, adoperarlo. Come diceva in una splendida intervista Horkheimer - il marxista critico padre, insieme ad Adorno, della Scuola di Francoforte e del pensiero negativo - Dio è l' inconoscibile, l' inattingibile trascendenza, il radicalmente Altro. Possiamo occuparci solo del mondo finito, sapendo però che esso non è tutto e mantenendo così la nostra libertà nei confronti del reale. Per l' ebraismo, già pronunciare il nome di Dio è una bestemmia, significa degradarlo a una cosa, magari per usarla. Non a caso la religione ebraica, così anti-idolatrica, è tanto pervasa di ironia. L' ironia è la consapevolezza della relatività di ogni cosa umana e storica rispetto all' unico assoluto ed è dunque l' irriverente demistificazione di tutti i falsi assoluti, di tutti gli idoli che ogni giorno, in ogni settore - dalla politica alle pratiche devozionali agli obblighi sociali quotidiani - vogliono fare di noi degli adoratori e degli schiavi. Moni Ovadia, nel suo recentissimo, forte libro Contro l' idolatria (Einaudi Stile libero), analizza criticamente e saggisticamente la variegata fenomenologia dell' idolatria che ci circonda e che egli ha già smascherato con estrosa genialità in tanti suoi memorabili spettacoli, poi tradotti in libri ma nati per la scena, per l' irripetibile e fugace simbiosi di parola, gesto, canto, movimento che ha luogo sul palcoscenico. Gli chiedo, incontrandolo a Trieste, cosa prova a cimentarsi con un altro uso della parola, con la scrittura pacata e acutamente dedicata all' analisi, alla riflessione, al ragionamento anziché alla sbrigliata fantasia.

 

Moni Ovadia - Provo anzitutto sofferenza. Non avevo mai pensato di «scrivere», tutt' al più solo la presentazione degli spettacoli, in cui la parola nasce insieme al gesto, a una luce, a un imprevisto incontro di elementi diversi, in un' invenzione solo parzialmente programmata. Sono stati gli editori a stanarmi, a indurmi alla scrittura, a trasformare uno spettacolo in un libro stampato e sono stati i lettori, col loro favore - sin dal primo libro, Perché no, uscito da Bompiani, a tutti gli altri - a farmi continuare. I miei libri sono un insieme di storielle umoristiche e riflessioni, secondo la tradizione del commento haggadico al Talmud, in cui per spiegare un passo della Scrittura si ricorre spesso al racconto, a una storia, a una parabola, a quell' ironia che è appunto una - forse la - espressione autentica di religiosità. Ma scrivere costa, è una fatica. La scrittura mi spaventa; il foglio bianco è un incubo. Ma è anche una lezione di disciplina, che dà forma all' indistinto del sentimento vissuto. Fondamentale, per il mio approccio alla scrittura, è stato l' invito fattomi a suo tempo da Ferruccio de Bortoli, direttore del Corriere, a scrivere un articolo sul centro di detenzione per emigranti in via Corelli a Milano. Scrivere insegna il senso di responsabilità verso ciò che si dice. Un pregio e un peso, come hai detto più volte anche tu.  

 

Claudio Magris - Si è responsabili verso ogni scrittura, anche la più selvaggia, che impone la sua misura. Inoltre in un libro che nasce da un' urgenza etica e politica, come questo tuo - che spazia fascinosamente dal racconto di viaggio alla critica di costume, dall' analisi culturale alla riflessione religiosa, sempre con la tua inconfondibile simbiosi di pietas e ironia - non puoi permetterti l' impennata ribelle, la magica follia che c' è nel tuo teatro. È la responsabilità del padre di famiglia ebraico, che Kafka considerava un modello umano più alto dello scrittore, ma che non ha voluto o potuto essere, perché ciò gli avrebbe forse impedito la libertà socialmente «irresponsabile» della sua letteratura. Se l' essenza delle grandi religioni è anti-idolatrica, tu in questo libro denunci la loro pratica spesso bassamente idolatrica...  

 

Moni Ovadia - Non credente ma profondamente legato alla Bibbia e al pensiero religioso, sono ferito dalla deriva idolatrica che perverte tutte e tre le grandi religioni monoteiste, riducendo il Dio ineffabile di tutti, che può essere solo continuamente cercato, a un dio tribale, pretendendo di far politica in suo nome come Bush, trasformando il Corano o la Torah in strumenti di potere, fomentando psicosi miracolistiche superstiziose che sono una parodia del cristianesimo. La religione produce intolleranza e tradisce così se stessa, dimenticando che il Corano dice «se Allah avesse voluto che tutti gli uomini fossero musulmani li avrebbe fatti musulmani e chi sei tu per imporre agli altri ciò che Allah non ha voluto imporre loro?». Il Dio dell' Antico Testamento ha detto «davanti a me siete tutti stranieri», «la terra è mia» e «amerai lo straniero, perché lo sei stato anche tu». Anche la civiltà ebraica rischia fortemente oggi l' autodevastazione; se all' ebraismo si toglie l' universalismo, gli si toglie tutto. Per fortuna l' ebraismo ha in sé il potente antidoto dell' autocritica, dell' auto delatoria ironia che si accusa, consapevole dell' universale e dunque anche della propria bassezza umana. Solo così può salvare se stessa e il mondo. Se Cristo è salito sulla croce, il Cristo crocefisso dai popoli è stato, con la Shoah, l' ebraismo.  

 

Claudio Magris - Il senso religioso dell' alterità e indicibilità del divino non implica un rigorismo iconoclasta. Siamo fatti di carne, di sensi, e amiamo legittimamente le immagini e le forme, un' immagine della Madonna come una fotografia di una persona cara - purché si sappia che quella statua non è la Madonna e quel ritratto non è la persona. Si narra che papa Sisto V, saputo che un crocifisso in una chiesa di Roma provocava manifestazioni isteriche perché si diceva sudasse sangue, si recò in quella chiesa, s' inginocchiò dinanzi a quel crocifisso dicendo «come Cristo ti adoro» e, alzatosi, lo ruppe con un bastone dicendo «e come legno ti spezzo». Può darsi che queste espressioni di aggressivo fondamentalismo religioso, che tu denunci, siano una reazione agonica all' inquieta sensazione di un' eclissi della religione, di un crescente, spietato e spesso volgare trionfo della secolarizzazione; piazze ogni tanto piene e chiese ogni giorno più vuote... C' è un capitolo del tuo libro che non condivido, là dove sembri contestare il diritto dell' embrione solo perché è sostenuto anche da qualcuno che invece, in altri campi, propugna principi inaccettabili. Non lo trovo logicamente corretto, perché un diritto c' è o non c' è a prescindere dalla moralità o immoralità di chi lo sostiene o lo nega; se un mascalzone dice che due più due fa quattro, rimane un mascalzone, ma quel calcolo è giusto, così come due più due fa cinque è sbagliato anche se a dirlo è un santo. L' idolatria, del resto, non è solo una perversione della religione...  

 

Moni Ovadia - Hai ragione. Non volevo dire che quelle difese del diritto dell' embrione non sono giuste, ma solo che su certe bocche non sono credibili. Quanto all' idolatria, oggi essa è certo legata soprattutto a una degenerata secolarizzazione, a un appiattimento che trasforma le cose, i beni di consumo, in idoli. Così come il comunismo ha pervertito un ideale di giustizia, l' Occidente liberista nega se stesso degradando la grande libertà dal bisogno - che è liberazione concreta dello spirito - a un economicismo senza interiorità, a un rituale ipnotico di massa, che fa del denaro non un mezzo bensì un fine, nell' illusione di comprare tutto, l' istruzione, il potere, l' universo, Dio...  

 

Claudio Magris - Il tuo libro vive di tutti questi amori e di tutte queste denunce. Facciamogli gli auguri - unberufen, come non detto, dice uno scongiuro yiddish. Come ti senti, nei panni dello scrittore?  

 

Moni Ovadia - Beh, in questo librificio in cui viviamo, c' è forse posto anche per me. Una volta un ebreo, poco confidente col mare, ottenne il brevetto di capitano e se ne vantò con la madre e col fratello. La madre gli disse: «Bene, figlio, bravissimo, per me sei capitano. Anche per tuo fratello sei capitano. Ma per i capitani, sei capitano?» Chissà se io, per gli scrittori...

 

Il nuovo libro «Contro l' idolatria» Lo scrittore, regista e attore teatrale Moni Ovadia nasce nel 1946 a Plovdik, in Bulgaria, da una famiglia ebraica. Tra le sue opere di «teatro musicale», Cabaret Yiddish del ' 92 e i due grandi successi di pubblico Oylem Goylem (' 94) e Il banchiere errante (2003). Tra i suoi libri, Speriamo che tenga (Mondadori, ' 98) e Vai a te stesso (Einaudi Stile libero, 2002) Storie umoristiche, provocazioni, incontri e pensieri «estremi» sul tema del monoteismo: il nuovo libro di Moni Ovadia s' intitola Contro l' idolatria (Einaudi Stile libero, pagine 185, euro 12,80) A Napoli con l' armata Babel' Fino a domenica Moni Ovadia sarà al Bellini di Napoli con «L' armata a cavallo»: lo spettacolo, da lui diretto e interpretato, è tratto dall' omonimo capolavoro dello scrittore ebreo russo Isaac Babel' Sono ferito dall' idea che le tre fedi più importanti possano servirsi del Creatore per scopi legati alla politica L' autodevastazione è il rischio che oggi corre la civiltà ebraica, che però ha in sé l' antidoto dell' autocritica.

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