Moni Ovadia nel bosco con la musica di Vacchi
 

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di Angelo Foletto
La Repubblica - sabato 18 settembre 2010 - sez. spettacoli

 

IL NUOVO lavoro del compositore bolognese Fabio Vacchi, D’ un tratto nel folto del bosco, in prima assoluta per il Festival MiTo al Teatro Parenti, è uno di quei melologhi che può essere ben raccontato. Alla base della partitura c’ è il rapporto, in parallelo, tra la voce recitante e una piccola ma impegnatissima orchestra. La parentela è acustica: nel senso che parole e musica eccitano la fantasia attraverso l’ ascolto e la memoria auditiva. Per il resto, diversamente che in altre omologhe esperienze d’ autore, non si coglie una vera drammaturgia teatrale preordinata: la lettura procede quasi ininterrottamente per gli ottanta minuti di durata della musica anche se gli “attacchi” sono individuati in partitura, e il tracciato musicale interferisce con pagine di sofisticata costruzione timbrico-strumentale in cui imitazione sonora e estro coloristico si danno la mano. Sul leggio di Moni Ovadia, carismatico e cerimonioso lettore più che attore-interprete, c’ è la riduzione dell’ omonimo racconto di Amoz Oz, da cui anni fa era stato tratto anche uno spettacolo teatrale. Attraverso gli occhi, la sensibilità e la curiosità priva di malizie o di chiusure di due bambini, lo scrittore (e librettista di Vacchi per Lo stesso mare, in prima al Petruzzelli nell’ aprile 2011) rappresenta il percorso iniziatico nel bosco incantato dove si ritrovano gli animali respinti dalla cattiveria e ipocrisia meschina degli abitanti del paese. Anche se il finale rimane aperto, la scoperta degli animali e delle loro piccole (?) anime incarna il ritrovamento del sentimento e del piacere della convivenza col diverso che la società dei grandi spesso non ammette. Intermediario poetico, Michele Serra ha rinnovato l’ incontro con Vacchi nato tre anni fa nel più esplicito ruolo di librettista per La madre del mostro, riducendo l’ ampio testo ma conservandone le caratteristiche ‘ sonore’ , le paroleei tipici, onomatopeici, neologismi delle coniugazioni ‘ animali’ . La punteggiatura fitta suggerisce il ritmo alla lettura, la musica la riprende come una colonna sonora che procede non in sincrono con le ‘ immagini’ recitate. Vacchi ha disposto pagine descrittive che sfruttano insolite modalità esecutive accanto a episodi più corposi, banco di prova per l’ eccellente realizzazione dei musicisti virtuosi di Sentieri Selvaggi diretti da Carlo Boccadoro, e a commenti strumentali quasi solistici. L’ opera complessa e ambiziosa ha inchiodato il folto e selezionato pubblico, ottenendo una accoglienza trionfale. Ma la sensazione al primo ascolto è che la musica, variegata e carica di intenzioni, essendo priva di una precisa determinazione formale, a volte perda la capacità di rappresentarsi autonomamente di fronte alla autosufficienza poetica e al simbolismo civile incondizionati anche nel racconto “ridotto”. In altre parole, se D’ un tratto nel folto del bosco fosse riunita in suite orchestrale, prenderebbero più rilievo e respiro la finezza dei segreti richiami, l’ ispirata bellezza di alcune soluzioni cameristiche, la matura padronanza della tavolozza timbrica e il lavorìo costruttivo interno, diradando la cifra didascalico-sonora che l’ affiancamento col testo rendeva a volte un po’ pleonastica.

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