Non ci venite a dire che è demagogia
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  La macelleria sociale continua senza dare segni di stanchezza. Lo spread, che non dipende dalle volontà politiche dei governanti di oggi, fa un po' quello che gli pare, prediligendo il comportamento ciclotimico tipico dei flussi speculativi. Così facendo tiene sotto ricatto stati e governi perché non venga loro in mente di decidere e di legiferare contro l'interesse dei mercati. I feroci costi di questo stato di cose, si scaricano, come sempre, su lavoratori, pensionati, disoccupati e precari. Ma come potrebbe essere diversamente? Coloro che decidono, in proprio, o sulla base di "autorevoli" sollecitazioni esterne, versano in condizioni economiche molto lontane a volte lontane anni luce, da quelle dei tartassati o massacrati dai provvedimenti dell'austerità. I redditi annui di leader politici e di governo, di manager di banche e istituzioni finanziarie, sono spesso talmente spropositati rispetto al reddito dei cittadini di cui sono chiamati a determinare le sorti economiche, da impedire loro di cogliere la prospettiva della realtà, anche con quella partecipazione personale che permette ad una persona di saper vagliare la verità viva dei problemi che madri e padri di famiglia si trovano ad affrontare. Non voglio con questo dire che per capire i problemi, le frustrazioni e i travagli di un pensionato a settecento euro al mese si debba essere poveri. Quelli attenti al prossimo e alle sue condizioni esistenziali sono in grado di essere solidali a prescindere dalla consistenza del loro reddito. Ma purtroppo tale sensibilità non è così diffusa tra chi non conosce sulla propria carne i disagi e le notti bianche degli afflitti dai morsi delle difficoltà economiche. Forse sarebbe ora di avviare una riflessione seria e ponderata sul livello di reddito di chi è chiamato ha elaborare riforme che peggiorano le condizioni esistenziali ed economiche dei meno abbienti. E non ci vengano a dire che questa è demagogia perché dell'uso squallidamente intimidatorio di questo termine fatto proprio dai peggiori demagoghi, ne abbiamo piene le tasche. L'ideologia dell'intimidazione demagogica contro chi chiede giustizia sociale, dignità e diritti, è figlia di una precisa pedagogia che per secoli e secoli ha costruito il mondo a misura dei potenti e dei loro privilegi. Dalla Rivoluzione francese in avanti, questa pedagogia è stata contrasta con crescente forza fino a tutti gli anni Settanta del Novecento, con conquiste significative e con un orizzonte di speranza. Ma dal crollo del cosiddetto comunismo in poi, la demagogia del privilegio si è riaffermata con questo messaggio: "Vi eravate illusi, lo stato sociale è morto, vi spetta una vita grama, chinate la testa!".I dolori del giovane PD non hanno mai fine. Non hanno pace i travagli di un partito che non sa ancora in che misura essere progressista , se spostarsi al centro e fino a che punto rischiare l'ardita manovra, se continuare ad avallare con il proprio consenso, accompagnato da garbati vagiti di dissenso, la macelleria sociale del governo tecnico che ha portato la pressione fiscale al 55% . Il Pd lo sostiene questo governo che non riesce ad intaccare gli sconci privilegi dei potenti, la corruzione e l'evasione fiscale, non decide, se, come e quando andare ad elezioni ed è lacerato al proprio interno nel confronto di lana caprina fra rottamati e rottamatori. Ma se tutto questo non bastasse, si è riaffacciata la drammatica questione della laicità sotto la forma imbarazzante del matrimonio fra omosessuali. Il bersaglio della polemica che vorrebbe vedere il Pd sostenere fino in fondo la laicità dello Stato dando il proprio riconoscimento alle nozze gay è stata questa volta Rosy Bindi. Ora, a mio parere, Rosy Bindi è una persona con un alto profilo personale, è un politico di vaglia ed ha una cultura istituzionale di saldissime radici democratiche. Detto questo rimane pur sempre una cattolica e i cattolici del Pd di fronte a certe proposte iper reagiscono negativamente. Per onor del vero la Bindi è favorevole ad una legge per il riconoscimento pubblico delle coppie di fatto, purché sia una legge cauta. Ma non le si vada a parlare di matrimoni omosessuali. La sua risposta è una ed una sola e riecheggia manzoniane memorie:" questo matrimonio non s'ha da fare!". Anche se io considero la piena parità civile, sociale e morale di tutti i cittadini italiani, nessuna minoranza esclusa, un dovere improcrastinabile, anche se ritengo ogni discriminazione, anche la più blanda, nei confronti di gay e lesbiche un insopportabile obbrobrio di stampo feudale, non trovo sensato mettere in croce Rosy Bindi né altri cattolici che condividano il suo sentire. Per il momento sarebbe benvenuta anche una legge sui Dico o sui Pacs. Ma tutta la questione mette molta malinconia. Le nozze omosessuali sono esattamente come fu quarant'anni fa il divorzio, una crociata ingiusta e poco cristiana. In futuro, gay e lesbiche italiani si sposeranno, se lo decideranno, è solo questione di tempo, così come lo fu per la legge sul divorzio alla quale l'Italia arrivò, come sempre, per ultima. Nel frattempo, l'ostinazione regressiva di chi lo impedisce riuscirà solo a creare umiliazione e dolore in persone incolpevoli. Quando appartenenti allo stesso sesso si sposeranno, forse la Bindi non sarà più in parlamento, avrà solo conquistato una mediocre dilazione al progresso della civiltà dell'uguaglianza.

Moni Ovadia - L'Unità -  28/07/2012

 

 

   
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