Uno schiaffo contro la morte
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Il gesto della madre iraniana che con uno schiaffo ferma la condanna a morte di un giovane colpevole dell'uccisione del proprio figlio, al di là di ogni questione culturale o rituale specifica, sollecita una riflessione universale sulla cieca assurdità delle condanne capitali e della loro esecuzione. Tanto più un crimine è atroce e smisurato, tanto meno ha senso l'uccisione "legale" di chi lo commette. Non è difficile capire il perché. Una volta che al più efferato criminale si sia tolta la vita, per quanto riguarda lui, nulla può essergli più chiesto, nulla di più ci si può attendere da lui. Con la sua morte il cerchio si chiude. Una volta che abbia ricevuto la condanna e la certezza della sua messa in atto, un attimo prima che essa si compia, il criminale paradossalmente riceve una titolarità che nessuno gli può negare: quella, se lo ritiene, di dire allo Stato che sceglie di togliergli la vita: "Adesso il conto è chiuso. Più della vita non potete prendermi. Fatela finita con il vostro sdegno per i crimini di cui mi sono macchiato, con le vostre giaculatorie morali su ciò che è giusto e ciò che è infame. Da me la vostra giustizia umana, non ha più nulla a pretendere". Per i credenti, ovviamente, le cose si pongono in modo diverso: c'è l'incontro ultimo con la giustizia divina. Ma comunque sia, uomini di fede o atei, di fronte all'occorrenza della pena di morte hanno lo stesso problema. Si tratta di un omicidio e il fatto che sia legale, non ne cambia il senso. La frase di rito che viene pronunciata dopo l'esecuzione della sentenza, giustizia è fatta, è un autentico obbrobrio. Lo è per la vittima che non verrà mai risarcita, lo è per i suoi cari che avranno al massimo avuto vendetta, lo è per la società che contrappone all'omicidio criminale, l'omicidio di Stato. Quella madre iraniana, con quello schiaffo che ha fermato la morte di un giovane assassino 18 enne, ha fatto un atto grandioso. A noi non è lecito sapere fino in fondo quali sentimenti l'abbiano mossa, quali pensieri, quali emozioni abbiano suscitato la sua decisione, ma con quel gesto memorabile, quella madre ha costituito un esempio memorabile. Il giovane uccisore che lei ha schiaffeggiato, potrà accedere ad un'espiazione della sua pena nella vita per la vita. L'esistenza che ha tolto al figlio di quella madre potrà risarcirla in sé, avrà la possibilità di diventare "fratello" di chi ha ucciso. Non è detto che sappia farlo, ma almeno ci sarà una possibilità. Con l'esecuzione dell'impiccagione ci sarebbe stata solo l'oscurità e il gelo in cui la morte trionfa. Lo schiaffo di quella madre merita di diventare il simbolo della lotta all'orrore della pena di morte.


 Moni Ovadia L'Unità - Voce d'Autore del 19/04/2014

 

 

   
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