<< return

Oylem5
Oylem3
Oylem2
Oylem4
Oylem1

 

 
 
 

Oylem Goylem - Rassegna stampa

Dieci anni di Oylem Goylem

Il nostro sistema teatrale tende a macinare gli spettacoli imponendo un turnover delle produzioni che non dipende dal loro valore o qualità intrinseci, ma da un iter burocratico che impone i suoi ritmi e obbliga le compagnie a continue "novità". Tali novità, in molti casi, di nuovo hanno solo il nome. A volte capita invece che un'opera di teatro riesca ad avere lunga vita. Quando ciò accade siamo probabilmente in presenza di un evento che va al di là del fatto messa in scena. Oylem Goylem di Moni Ovadia è sicuramente uno di questi eventi. Non si tratta di essere bello o ben recitato, non è questione di talento o di felice timing. Oylem Goylem è un vero e proprio fenomeno epocale che in qualche misura ha modificato il tessuto culturale del nostro paese. Con la forza della sua solenne semplicità e vitalità ha trapiantato, reso familiare e necessario al pubblico italiano l'humus del mondo yiddish spietatamente annientato. Eppure quel mondo, dall'abisso della sua assenza pulsante di un'energia inesausta, è ancora pienamente in grado di parlare ai cuori, alle menti ed agli animi degli uomini di oggi e di ogni generazione. Oylem Goylem ha avuto anche il merito di rivelare agli italiani Moni Ovadia, un artista originale, unico nel suo genere, non solo in Italia, ma anche in tutto il panorama europeo e Moni Ovadia spettacolo dopo spettacolo è diventato una delle presenze più amate dal pubblico di ogni età. Il suo successo transgenerazionale non è casuale, è il risultato di creazioni nate da un'idea di memoria come progetto per il futuro, per questo il suo teatro è per l'oggi e per il domani.

L'arte di Moni Ovadia scaturisce sempre da una tensione etica che glorifica fragilità e alterità dell'essere umano, per questo i suoi spettacoli sono strumenti emozionali per misurarsi con le grandi sfide di un mondo che vede sfumare confini e certezze. La filosofia umoristica che anima Oylem Goylem è un potente antidoto contro violenze, intolleranze e razzismi vecchi e nuovi, è uno spettacolo che si vuole vedere e rivedere, si desidera che i nostri cari e i nostri amici che non lo hanno visto possano vederlo per condividere con noi un'esperienza unica. Per queste e molte altre ragioni Promo Music ha chiesto a Moni Ovadia di riprendere quest'anno il suo spettacolo cult.

   

 
Oylem-storia © Photo: Maurizio Buscarino




<< return

 

Oylem Goylem - Press

Inno alla poesia dell'uomo

by Enrico Fiore

Il Mattino - 12 February 2000

Do you remember Hoffmannsthal? "The Spring wind blows, / (...), / there are strange things / in its blowing. / It has lingered, / where there was weeping, / (...), / lips it has touched / and opened to laughter"... Well, it seemed like the other evening, an early Spring wind was blowing...

 

Ten years of Oylem Goylem

by Promo Music

Our theatre system tends to grind all the shows together, imposing a turnover of productions which depends not on their value or intrinsic qualities, but on a bureaucratic itinerary which imposes its own rhythm and forces companies to always produce a "novelty"...

 

   

 
 
 

Oylem Goylem - Rassegna stampa

 

"Inno alla poesia dell'uomo"

di Enrico Fiore

Il Mattino - 12 febbraio 2000

 

Ricordate Hoffmannsthal? "Corre il vento di primavera, / (...), / vi sono strane cose / nel suo soffiare. / Si è cullato, / dove c'era pianto, / (...), / labbra ha toccato / aperto al riso"...

Certo l'altra sera soffiava un vento piuttosto in anticipo sulla primavera.

Ma il fatto è che lì, al Mercadante di Napoli, c'era un suo vecchio amico: Moni Ovadia, l'ebreo errante che conosce le "strane cose" cullate dal vento perchè, come lui, molto paesi e molte genti ha visto, e da tutti ha preso qualcosa.

Poichè proprio questo sono la cultura e la lingua Yiddish, un ventoso girovagare - nella malinconia e nell'ansia della diaspora - fra innumerevoli culture e lingue altre, innestando sull'originario ceppo ebraico i valori, le tradizioni e le parole polacchi, russi, ucraini, rumeni, cechi e tedeschi.

Per oltre due ore Moni incatena il pubblico con il suo cabaret "Oylem Goylem".

E il segreto di tanto successo sta nel carattere precipuo della cultura di cui parliamo, unica e forte in grazia di un'unica e forte capacità d'autoironia: giacché per l'appunto la forza e l'autoironia in questione costituiscono - come avveniva anche nella splendida "Ballata di fine millenio" che vedemmo, sempre al Mercadante, due anni fa - il motore inesauribile dello spettacolo presentato dal CRT Artificio.

Ecco, dunque, le mille storielle intinte nell'irresistibile "Witz" ebraico e quasi tutte centrate sul tema del "rapporto mitico e mistico" che i figli del popolo eletto intrattengono col danaro. Ed ecco, alternate a queste storielle, i brani della musica Klezmer: anch'essa vorticosa e onnivora come il vento perchè, guarda caso, nata dall'incontro e dall'interscambio tra la cultura Yiddish e i suoni e ritmi del popolo, quello zingaro, protagonista dell'altra grande diaspora europea.

Musica totale, la musica Klezmer: dal momento che il suo stesso nome è una tautologia assoluta, consistendo nell'unione delle due parole ebraiche - Kley e Zemer - che si riferiscono agli strumenti (il violino e gli archi in genere e il clarinetto) con cui venne suonata la musica tradizionale degli ebrei dell'Est europeo a cominciare, piùo meno, dal XVI secolo. E se di musica totale si tratta, non può che tradursi, in "Oylem Goylem", nel lancinante alternarsi di una perduta dolcezza, di un respiro dolente e di una galoppante allegria.

Così il canto monodico che evoca l'atmosfera rituale delle sinagoghe cede il passo, ad intervalli più o meno regolari e quasi senza soluzione di continuità, alle canzoni composte per scandire il tempo della festa. Ed è inutile, a questo punto, sprecare parole sullo straordinario, impatto determinato dagli eccezionali solisti della TheaterOrchestra, essi stessi figli del vento vagabondo: l'ungherese Janos Hasur al violino, il russo Vladimir Denissenkov al baian, il serbo Sasha Karlic alla chitarra e gli italiani Patrick Novara all'oboe e al clarinetto, Massimo Marcer alla tromba e Gianni Cannata al contrabbasso.

Realizzano, questi menestrelli della diaspora, una non meno straordinaria simbiosi con il canto, i gesti e i passi di danza di Moni Ovadia, a sua volta oscillante, con esiti altrettanto alti, fra un umorismo a tratti addirittura surreale (e capace, per giunta, di lanciare frecciate alla sofisticata comicità giudaico-newyorkese di Woody Allen) e la sanguinante memoria della Shoah, tramata d'episodi scolpiti nella carne delle varie parlate locali, dal giudaico gutturale dell'Europa orientale al giudaico-veneto. Al termine applausi dilaganti e acclamazioni commosse. Fuori, il vento non c'era più: perchè, ormai, le "strane cose" sepolte nel suo cuore antico erano diventate, almeno un poco, anche nostre.

   

 
oylem-frammenti © Photo: Maurizio Buscarino




<< return

 

Oylem Goylem - Text fragments

Oylem Goylem – Text fragments

(...) In exile, one loses many things, first of all one's own language.

In the first generation, it begins to falter, in the second it loses focus, and by the third generation, it is probably swallowed completely by the linguistic territory.

This is not wht happened to the language we are singing to you about. On the contrary, Yiddish drew its vitality from exile and lived from and for exile, simmering like crushed grapes in the Spring.

When he chanced to meet this language along his path, and while addressing an audience made up of the Jewish bourgeoisie of German language and culture, a great wise man from Prague spoke of it thus:

"Before hearing the first verses by these Oriental Jewish poets, I would still like to tell you, my dear ladies and gentlemen, that you understand much more Yiddish than you think.....but this cannot happen while some of you have of this dialect a fear so strong, I can practically read it in your faces.

.....Yiddish is the youngest European language, it is not yet four-hundred years old and, actually, it is even more recent than that. It hasn't yet formed linguistic structures as clear as are necessary to us. Its expressions are brief and nervous.

It has no grammar. A few of its admirers have tried to write grammars for it, but Yiddish is spoken constantly and it finds no peace. The people will not hand it over to the grammarians.
It is composed exclusively of foreign words. But these words do not rest in its bosom, rather, they preserve the haste and the vivacity with which they were welcomed into it.

Yiddish is traversed from one end to the other by peoples' migrations.

All this German, Hebrew, French, English, Slavic, Dutch, Rumanian and even Latin which lives within it, is soaked with curiosity and lightness. It takes a certain amount of energy to keep the various languages together in this fashion.

And that is why no person gifted with good sense will ever try to make of it an international language, even though the idea comes of itself.

Only low-life and the slang of the criminal world use it with pleasure, as they are in need of single words rather than linguistic connections.

And because, after all, Yiddish as a language has always been despised and scorned.

These are the words of Franz Kafka. (...)
   

facebook © 2011 OYLEM GOYLEM ALL RIGHTS RESERVED  |   P.IVA 13071690153   |   cookies policy

By using this site you agree to the placement of cookies on your computer in accordance with the terms of this policy