Golem - Rassegna stampa

 

Trionfale successo al Filodrammatici della novita’ di Moni Ovadia
osanna al mito ebraico “Golem” la rivolta di un gigante d’argilla

di Giovanni Raboni

Corriere della Sera - 15/3/1991


Un dramma cantato in tre lingue (yiddish, tedesco e italiano) - Consensi entusiasti per l’interpretazione dell’autore - Daniele Abbado coartefice dell’opera.

Gran pubblico e applausi a non finire l’altra sera al Filodrammatici, per la “prima” milanese di “Golem” singolare e affascinante spettacolo (prodotto dal Ctr Artificio di Milano in collaborazione con il Tetaro Petruzzelli di Bari) che il suo autore, Moni Ovadia, definisce “dramma cantato” e che si ispira a un antico mito ebraico: quello, appunto, del Golem, il gigante d’argilla creato e dotato di vita, secondo la leggenda, da un Grande rabbino vissuto a Praga nel XVI secolo.
Adibito dal rabbino a umili mansioni di servo della sinagoga, ma tenuto in serbo come difensore del ghetto contro la minaccia di eventuali persecuzioni, il Golem sfugge dal controllo del suo creatore e padrone quando questi, un venerdì sera, si dimentica di disattivarlo come fa ogni settimana per impedirgli di svolgere durante il sabato un’attività proibita e dunque peccaminosa.
L’infrazione genera rovina; ed ecco infatti lo sfrenato umanoide imperversare nel ghetto spargendo il terrore e uccidendo bambini. Il rabbino non può fare altro, ovviamente, che distruggerlo.
Il mito, ricchissimo di implicazioni storiche e soprattutto teologiche, è già stato oggetto di alcune elaborazioni espressive tutte in ambito culturale boemo o comunque mitteleuropeo, da un romanzo abbastanza noto di Meyrink a un testo teatrale di Leivik, a un famoso film espressionista di Wegener.
Quella di Ovadia - che pur prendendo spunti dai precedenti (in particolare dal dramma di Leyvik), deve essere considerata del tutto nuova e autonoma - si apre spontaneamente e con piena coerenza a nuove suggestioni , prima fra tutte quelle legate alla figura e agli scritti di Kafka.
Semplificando alquanto, si può dire che la rivolta finale del Golem ha un precedente diretto in una sua iniziale riluttanza ad accettare la vita e che tale riluttanza si rispecchia nell’inettitudine a ridere che Kafka metaforizza in tutta la sua opera e di cui, in una lettera famosa e qui citata, considera responsabile il padre...
Ma il testo è solo una parte, seppur decisiva e portante dello spettacolo, che vive del vitalissimo intreccio di diverse sonorità linguistiche (quella dello yiddish innanzitutto, ma anche del tedesco e dell’italiano) e di una commistione estremamente efficace (che Guy Scarpetta giudicherebbe, credo, esemplarmente “post-moderna”) di musiche popolari yiddish (elaborate da Maurizio Dehò e Gian Pietro Marazza) e di musiche originali “colte” (composte da Alessandro Nidi, secondo moduli espressivi di forteimpronta mahleriana).
Canti e danze, dialoghi e (come Ovadia li chiama) “trialoghi”, soliloqui e scene corali (a volte felicemente comiche) si alternano con trascinante continuità ritmica, realizzando un effetto di “tutto pieno” non meno ammirevole che sorprendente. Ce n’è davvero, in un’ora e mezzo filata, per tutti i gusti, nell’ambito di un’unià di pensiero e di stile che fa di “Golem” uno dei pochi eventi di spicco, e raccomandabili “toto corde”, di questo scorcio di stagione.
Più che motivato, dunque, il consenso entusiastico del pubblico, che ha festosamente accomunato Ovadia (che è anche l’onnipresente ed eccellente protagonista) al suo collaboratore Daniele Abbado, agli autori delle musiche, delle scene e delle coreografie e, infine, tutti gli interpreti ed esecutori. Una volta tanto dispiace veramente, non solo “pro forma”, non poterli citare uno per uno.

 

   
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