L'Armata a cavallo - Rassegna stampa

 

L’armata a cavallo di Moni Ovadia

Jean-Marie Wynants, inviato speciale a Bologna

Le Soir - 25 novembre 2003

 

In materia di spettacolo, Europalia Italia non avrà certamente giocato la carta della scoperta. A eccezione di Pippo Delbono, non vedremo nulla di tutta questa giovane, e meno giovane, scena italiana che da diversi anni il KunstenFestivaldes Arts e il Festival di Liegi, per citare solo questi, ci permettono invece di scoprire. In Belgio bisognerà quindi affidarsi a uno di questi due eventi per scoprire la nuova creazione di Moni Ovadia, “L’Armata a cavallo” appena presentata all’Arena del Sole di Bologna, uno dei teatri più attivi d’Italia.

Ispirandosi al romanzo di Isaac Babel, lo spettacolo ci riporta all’epoca della Rivoluzione Russa e, in particolare, alla storia della prima armata di cosacchi ‘rossi’. Senza essere una ricostruzione storica né una semplice riproposizione del testo, “L’Armata a cavallo” si avvale di dodici interpreti, attori, musicisti, cantanti tra cui Roman Siwulak, attore storico nel Cricot 2 di Tadeusz Kantor.

In una foresta di betulle che fa da sfondo fisso, i personaggi appaiono e scompaiono come ombre, vivono il tempo della battaglia, i momenti di paura, di fraternità, gli incontri con strani personaggi comparsi dal nulla: un robivecchi ebreo e cieco, una giovane donna incinta, una vecchia contadina, un rabbino.

Lo spettatore viene rapidamente immerso in un universo onirico nel quale la realtà più cruda incontra i sogni più strani. Sfruttando tutte le risorse del lavoro di scena, Moni Ovadia utilizza anche videoproiezioni (firmate da Mauro Contini, collaboratore storico di Carmelo Bene) che regalano una nuova dimensione allo spazio scenico. I costumi, ideati da Elisa Savi e realizzati da C.P. Company, sono come piccoli gioielli che si accompagnano al trucco deciso contribuendo all’efficacia di questa sequenza di quadri permeati da un costante onirismo, dove un giovane che muore può essere simbolizzato da una ballerina sulle punte.

Uno spettacolo magico, affascinante, inclassificabile che Moni Ovadia dirige con il suo tocco da maestro, sulla melodia dei canti ebrei e yiddish, al suono lamentoso dei violoncelli, della fisarmonica e di tre lingue diverse, russo, yiddish e italiano.

Difficile da capire? Assolutamente no. Il russo e l’yiddish sono utilizzati in quanto lingue dei personaggi e per via della particolare musicalità che interessa al regista Moni Ovadia, che, sempre presente in scena, le restituisce in lingua italiana. All’estero, questo sorprendente personaggio, che conserva ricordi commoventi delle proprie visite in Belgio, parla anche il francese, il tedesco, lo spagnolo, il greco, il polacco e qualche altra lingua. Un intero battaglione solo per lui.

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