Rabinovich & Popov - Rassegna stampa

 

«Rabinovich & Popov caricature culturali e melodie d'epoca per un sogno di pace»

Rodolfo di Giammarco

La Repubblica (sez. Roma) - 29 gennaio 2009

 

RABINOVICH e Popov con Moni Ovadia, da domani al Palladium... «Il più ebraico dei nomi russi e il più russo dei nomi russi». Due prototipi in gioco, per ricavarne 70 anni di storia dell’ Urss. «Sì, con l’ arbitrio del teatrante che fa della ciarlataneria un’ arte». Partendo da una prospettiva di dualità, di differenze religiose... «Più che religiose, culturali». Due punti di vista validi per l’ Unione Sovietica o anche per l’ oggi? «Rispondenti ad ascesa e declino dell’ Urss: oggi sono in stand-by». Rabinovich e Popov sono anche caricature di potenti dell’ epoca? «Paradossalmente e liberamente, di Trotzkij e di Stalin».

E Lenin lo lascia fuori? «In Rabinovich c’ è spazio anche per Lenin: aveva un nonno ebreo». Le fonti del testo dello spettacolo sono autentiche o immaginarie?

«Certi materiali sono originali, certi altri rubati anche quelli». Nel senso che Ovadia è costruttore, antologizzatore, e non autore? «I ladri fingono d’ aver inventato o riconoscono d’ aver rubato». Lei? «Appartengo alla seconda categoria». Le musiche suonate al piano da Carlo Boccadoro sono storiche? «Sono canzoni/melodie colte dell’ epoca, interpretate a mio modo». è uno spettacolo che parla di ieri alludendo ai tempi nostri? «Ha l’ ambizione di parlare anche alla falsa coscienza di adesso». Divertendo?... «La conoscenza passa per vari canali, e il teatro ne sonda diversi». In tema di memoria lei è un referente affidabile dei massmedia... «Più che affidabile sono fidato e partecipe».

Cosa la tocca di più, nella dimensione della memoria? «L’ onestà di una verità che conosce il proprio limite ma non rinuncia a essere tale». Se dovesse fare dei nomi, a proposito di memoria garantita? «Ne farei due: Primo Levi sicuramente, e anche Tadeusz Kantor». Per quale capacità innata, Primo Levi? «Per la sua scelta del capire contro la scelta del giudicare». E perché Kantor? «Per la sua capacità creativa della forza della memoria». Come commenta la rottura tra il rabbinato ebraico e la Chiesa? «Non è una guerra di religione, è un’ eventuale guerra di uomini». Sanabile come? «Affrontando il dolore di una consapevolezza autentica». A cosa potrebbe richiamarsi, in concreto? «Ai vescovi cattolici tedeschi che in sinodo, nel 1995, hanno dichiarato che i connazionali cattolici al tempo degli stermini furono spesso indifferenti e anche (non tutti) complici».

Chi potrebbe fare da tramite, adesso, tra cattolici ed ebrei? «Figure valide ci sono, non confondendo gerarchie e cattolici». Ne comporrebbe anche uno spettacolo? «Mai dire mai. Sto preparando un lavoro su Shylock». Con una visione nuova? «Cercherò l’ aspetto sublime e terribile dell’ universale umano». Qual è il suo pensiero sulla recente guerra israeliano-palestinese? «Prima vittima è il popolo palestinese, ma Israele ha i suoi diritti». Che fare, secondo lei? «La causa prima è l’ occupazione, la colonizzazione e la riduzione in gabbia di un popolo. Questa cosa va rimossa». Lei ha uno slogan? «Sì, è di Mandela: la pace non è un sogno, ma per conquistarla bisogna saper sognare».



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