Shylock - Rassegna stampa

 

Shakespeare rock per Ovadia e Shapiro

di Francesca Motta

Ilsole24ore.com > Notizie Cultura e Tempo libero - 1 aprile 2010

 

Capovolgere Shakespeare pur rimanendo fedeli non è impresa facile. Pregio assoluto di questa inusuale e spiazzante versione, tra opera pop e metateatro, del "Mercante di Venezia" in questo caso " in prova", è far uscire fuori il testo dagli schemi classici del teatro di parola e trasformare il dramma shakespeariano dell'ebreo Shylock in una curiosa e intelligente rilettura ideologica e musicale. Artefici e prestigiatori dell'impresa sono due autori raffinati e colti come Moni Ovadia e Roberto Andò, che senza stravolgere la storia la trasfigurano, attualizzandola in una sorta di opera rock con musiche dei Queen, Nina Hagen e spogliandola della classica ambientazione lagunare. Uno Shakespeare al cubo con variabili nella crisi generale delle coscienze contemporanee, si delinea sul palcoscenico del romano Teatro Argentina, in un non- luogo grigio polvere schizzato di sangue, ambiguo e polivalente, forse un nosocomio o un mattatoio, si incontrano un regista ebreo (Moni Ovadia) disoccupato da anni e un viscido traffichino di dubbie origini (Ruggero Cara) che briga per commissionare un nuovo allestimento del " Mercante". La loro ossessione comune è Shylock, ma con intenti diversi. Il regista vorrebbe restituire all'ebreo quel famoso pegno della libbra di carne che da secoli gli è negata, l'altro, il committente, esige la libbra essendo un trafficante di organi collezionista di cuori d'artista. Fantasma dall'anima rock, Shylock è un'apparizione surreale interpretato da un'icona degli anni Sessanta Shel Shapiro leader dei mitici The Rokes. Fisicaccio ancora possente e aria gipsy, nonostante i sessantasei anni, irrompe a sorpresa Shel - Shy perfetto nei panni dell'ebreo stremato e malaticcio che lamenta di essere arrivato alla tenera età di quattrocento anni, continuando a essere mal rappresentato e ora implora giustizia. In un'atmosfera ironica, circense, pirandelliana, felliniana, ritmata e trasognata, la strana coppia Ovadia- Shapiro, unita dalle comuni origini ebraiche, da vita alla parola shakespeariana che si meticcia cantata, urlata, danzata, tra gli sforzi del Regista durante le prove per gestire una strampalata e scorretta compagnia formata: dall'effeminato Bassanio, la licenziosa Porzia, l'infermiera canterina Nerissa, un panciuto cardinale, la Stage Orchestra che suona rigorosamente dal vivo e le continue magnifiche incursioni di Shylock. "Un ebreo non ha mani, organi, sensi, affetti, passioni, allo stesso modo di un cristiano? Se ci ferite noi non sanguiniamo? Se ci solleticate noi non ridiamo? Se ci avvelenate noi non moriamo? ..." ecco il memorabile monologo del testo che diventa il filo conduttore dell'originale spettacolo. Balbettato e ripetuto continuamente come un mantra- ritornello dal vecchio Shy, declamato da tutti i personaggi e da centinaia di persone proiettate sullo schermo che ci rimanda anche immagini tragiche come Hitler e i campi di sterminio. Il tutto sotto lo sguardo sapiente e sornione di Ovadia, gran direttore d'orchestra in scarpette da tennis e maglietta con il volto del Bardo, spesso appollaiato su un seggiolone a sviscerare, ragionare, guardando la rappresentazione del teatro della follia del nostro mondo e cercando di restituire al gesto teatrale la verità e l'autenticità perduta. Non a caso dice: " Il Teatro non può tollerare truffe e inganni". La libbra di cuore contesa, diventa così simbolo universale di un teatro che deve uscire dalla marginalità e dalle brutture e tornare a essere un luogo dell'anima, baluardo contro impostura e odio. Vanno verso questa direzione i nostri tragicomici interpreti nel disperato girotondo finale? A noi, di certo, piace pensarlo.

   
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