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kantor

 

Tadeus Kantor

 (...) Lo conobbi nel 1988. Fu lui a cercarmi. Non me Moni Ovadia. Cercava qualcuno che conoscesse la cultura musicale ebraica. La sua attrice e interprete dal polacco Ludka Ryba, bontà sua, gli disse che solo io potevo trovargli ciò di cui aveva necessità.

 

L'incontro a tre Kantor, Ludka e io ebbe luogo in una immensa sala di Palazzo Reale dove il Cricot 2 stava provando, seduti ad un minuscolo tavolino al centro della sala. L'atmosfera era surreale, intorno a noi, ma distanti, anche loro seduti su sedie appoggiate contro le pareti, stavano in pausa tutti gli attori polacchi con i costumi sbottonati, gli sguardi persi ed il trucco sfatto. Parlammo in francese.

 

Kantor mi spiegò:

«Ho bisogno per questa mia ultima creazione Qui non ci torno più di un canto yiddis ho qualcosa di simile che esprima la tragedia del popolo ebraico durante l'olocausto». La voleva far cantare al personaggio più degradato, che in polacco si chiama "strofinona", cioè la serva di più basso livello, buona solo per le corvée più umili e dure nelle locande sudice e buona soprattutto per soddisfare i desideri lubrichi degli avventori di passaggio.

 

Io osservai:

«È un'idea azzeccata mettere in bocca ad un essere tanto defraudato e caduto in stato di abiezione il grido doloroso di un popolo martirizzato, perché, come sostengono i nostri Maestri della Cabbala, tanto più in basso ha radice una cosa in questo mondo, tanto più in alto è la sua radice nei cieli.»

 

E quindi gli proposi, cantandola a piena gola e senza cerimonie, una canzone paraliturgica nota con il suo primo verso: Ani maamin. È il testo musicato dell'atto di fede nella imminente venuta del Messia. Gli ebrei ortodossi la cantavano mentre venivano condotti dai nazisti nelle camere a gas.

Kantor rimase a bocca aperta.

«È esattamente ciò che volevo» disse. Io proposi:

«Non vuole ascoltare qualche altro canto?»

«No, questa è perfetta, va benissimo. Non ho bisogno di sentire nient'altro.»

 

Mi chiese ancora se ero disposto a insegnarla all'attrice che interpretava la strofinona, cioè la stessa Ludka. Dissi che non c'era problema. A quell'epoca lavoravo al Teatro Pier Lombardo, ma alla mattina, quando ero libero dalle

prove, andavo al Palazzo Reale per insegnare a Ludka la canzone.

 

Un giorno Kantor mi domandò se era possibile fare un'incisione solo musicale di quel canto a tempo di marcia. Risposi che era decisamente possibile. Il violinista della mia TheaterOrchestra, Maurizio Dehò, preparò un arrangiamento semplice, molto efficace ed organizzammo una registrazione di prova con i miei musicisti. Solo a titolo di esempio cantai l'ultima strofa delle tre incise per far capire con quale tensione interpretativa dovesse essere eseguita. La tonalità giusta per Ludka era un po' alta per me e per questo l'interpretazione risultò particolarmente lacerante. Quando Kantor ascoltò il risultato di quella rudimentale registrazione impazzì letteralmente di gioia, si mise a saltellare per l'entusiasmo e quel brano con la mia voce divenne il leitmotiv principale dello spettacolo. Proprio in quell'occasione regalai a Kantor una cassetta con la colonna sonora dello spettacolo di Mara Cantoni e mio: Dalla sabbia... dal tempo. Ascoltava molto spesso questa cassetta. Ebbe a scrivermi in una lettera:

"... Ascolto il nastro che mi hai regalato continuamente e senza posa... la tua voce mi dà tutta la disperazione necessaria e anche un po' di speranza...".

Più tardi mi chiese di unirmi al Cricot, il suo gruppo.

Ma a quel punto avevo trovato la mia strada, sentivo di doverla seguire ad ogni costo. (...)

 

(testo tratto dal cap. 30 del libro "Speriamo che tenga" - Ed. Einaudi)


   
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