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Train de vie

di Radu Mihaileanu

Dialoghi italiani di Moni Ovadia

 

Produttore: Noé Productions/Raphael Films/7IA, Hungry Eye Lowland

Soggetto e sceneggiatura: Radu Mihaileanu

Fotografia:Yorgos Arvanitis, Laurent Dailland

Musica: Goran Bregovic

Montaggio: Monique Rysselinck

 

Interpreti:

Lionel Abelanski (Schlomo)

Rufus (Mordecai)

Clément Harari (il rabbino)

Michel Muller (Yossi)

Bruno Abraham-Kremer (Yankele)

Agathe de la Fontaine (Esther)

Johan Leysen (Schmecht)

Marie-José Nat (Sura)

 

Durata: 101 min.

Distribuzione Italia: Istituto Luce

Distribuzione Lombardia: Cine Europa

 

Sinopsi - a cura di Paolo Castelli
Shlomo il pazzo ci racconta una storia accaduta ai tempi della persecuzione nazista nel suo piccolo villaggio yiddish situato nell’Europa dell’Est.
«C’era una volta. Questa è una storia vera.» E’ stato lui a inventare il modo di sfuggire ai tedeschi simulando una deportazione in piena regola.
Gli abitanti del villaggio comprano un treno pezzo per pezzo, si procurano un aspirante macchinista e poi dividono in nazisti ed ebrei. Ma il viaggio è più movimentato del previsto anche perchè l’allievo prediletto dal rabbino è diventato comunista a causa di una delusione d’amore e organizza una rivolta “proletaria” contro gli imperialisti che hanno le carrozze migliori.
Il mercante Mordechai, cui è stato affidato il comando della spedizione, supera brillantemente il primo blocco nemico e poi, per recuperare un ebreo catturato si finge generale tedesco e infinocchia un comando nazista ordinando per giunta un’abbondante fornitura di manicaretti ebraici da trasportare sul treno.
Tra liti, preghiere in campo aperto, attentati partigiani sfuggiti per caso, amori e disamori, si arriva a un passo dalla meta quando il treno è fermato da una compagnia nazista particolarmente diffidente.
In realtà si tratta degli abitanti di un villaggio di zingari che hanno avuto la stessa idea degli ebrei.
Dopo una notte di baldoria zingari ed ebrei riprendono il viaggio insieme riuscendo a raggiungere il confine russo, che significa libertà, passando tra i proiettili delle armate nemiche. C’è il lieto fine, ma è solo una finzione:
«Questa è la storia vera del mio villaggio....Quasi vera». Shlomo infatti ricompare a chiudere la storia e questa volta lo vediamo con la casacca da deportato dietro a un filo spinato.

   
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