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L’artista come essere umano

Il nome di Yehudi Menuchin l'ho sentito fare in casa sin dalla più tenera infanzia ed era ovvio che ciò accadesse. Mia madre era violinista, una violinista amateur di buon livello che aveva studiato privatamente per quindici anni fino a completare la sua formazione sullo strumento. Da giovane, in Bulgaria, aveva anche suonato per brevi periodi in orchestre professionali. Quel violinista leggendario dal volto  aristocratico e dal nome così "ostentatamente" ebraico era un mito in ogni famiglia di ebrei del prima e del dopo shoà. Menuchin era uno di quei numerosi geni usciti dal "popolo perseguitato" di cui andare fieri e anch'io ne andavo fiero per sentito dire. La prima volta che lo ascoltai fu grazie ad un long playing quando ricevetti in dono il mio primo giradischi. Il mito vivente che aveva fatto scoprire ad Alber Einstein "l'esistenza di D-o" si faceva suono e confermava alle mie orecchie la sua verità. Dopo quella prima volta, ho avuto molte altre occasioni di ascoltare quell'immenso violinista, ma purtroppo mai dal vivo. Mi sono regalato molte delle sue incisioni e ho avuto la fortuna di incrociare alcuni suoi concerti mostrati sulla rai o su altre emittenti europee. In quelle occasioni ho  potuto apprezzare insieme alle sublimi interpretazioni del grande repertorio violinistico l'intensità del suo volto illuminato da una grande sensibilità e da una specialissima grazia. Molti anni dopo il primo ascolto del violinista ebbi modo di scoprire nel corso di un'intervista, ancora una volta grazie alla rai, che quel genio interpretativo era anche un grand'uomo per il suo magistero etico e pedagogico. Menuchin ha incarnato mirabilmente la figura dell'artista intellettuale ebreo cosmopolita, figura paradigmatica della migliore cultura europea ed occidentale dalla incorruttibile fibra morale, ma alieno ad ogni moralismo, che ha saputo essere simultaneamente il migliore interprete della cultura nazionale in cui ha avuto la ventura di crescere e al tempo stesso ha saputo esprimersi come pensatore e cittadino universale nutrito da un irrinunciabile umanesimo, dalla passione per la dignità dell'uomo, per i suoi diritti e da una vocazione radicale per la pace. La visione universalista di Menuchin si manifesta particolarmente nella sua grande apertura alle diversità culturali come ricchezza e opportunità. Nel suo pensiero la musica nella vastità delle sue molteplici espressioni è linguaggio e interiorità che deve  costruire una relazione di comprensione intima fra gli uomini. I concerti tenuti in Germania nell'immediato dopo guerra che avevano scatenato una grande ondata di critiche da parte del mondo ebraico, sono da annoverare oggi fra gesti più coraggiosi, significativi e lungimiranti che hanno prefigurato una nuova era nel rapporto fra i popoli fondato sui valori universali della cultura e della reciproca accoglienza. In questa prospettiva l'ebreo Menuchin esprime una netta ripulsa anche per la deriva del nazionalismo religioso e fanatico che si è manifestato con crescente intransigenza ed aggressività nella politica israeliana.

La pubblicazione da parte dell'editore Rueballu di Palermo di "Musica e vita interiore" arriva in un momento quanto mai propizio, in particolare per il nostro paese e ancora di più per il prossimo futuro della nostra indecisa Europa pericolosamente tentata dal ritorno delle vecchie patologie dell'intolleranza. Menuchin nelle interviste e nei discorsi riportati in questo libro espone e sostiene con grazia e necessità i valori e le idee che dovrebbero fondare una nuova era per le comunità sovranazionali come l'Unione europea. L'arte, il pensiero, la visione etica e la vita stessa di Yehudi Menuchin continuano ad irradiare una luce che illumina il cammino verso un umanità riconciliata con se stessa e con il mondo.

Moni Ovadia

 

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