La piastrella di ceramica e Bertholt Brecht
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  Il medico di famiglia che ebbe in cura me e i miei nel tempo della mia adolescenza, teneva appese ad una delle pareti del suo studio alcune di quelle piastrelline di ceramica la cui funzione è quella di recare sulla superficie iscrizioni di proverbi e altre frasi edificanti del genere "casa dolce casa".
Ma una di quelle piastrelle ospitava una frase dal significato memorabile ed era
questa: " Il medico, che il paziente soffre non deve solo saperlo ma deve anche sentirlo". Non ho mai smesso di pensare sin da quel tempo che il tipo di sensibilità del buon medico evocata dalla piccola piastrella debba essere la modalità con cui ogni essere umano dovrebbe relazionarsi al suo simile e non solo al suo simile, ma ad ogni essere vivente. Ieri abbiamo ricordato la giornata mondiale del rifugiato politico. Ho pensato giusto farne memoria anch'io per i pazienti lettori di questi miei scritti settimanali rinunciando questa volta alle mie parole per far posto ad alcuni versi memorabili scritti dall'esilio da Bertholt Brecht che fu perseguitato e rifugiato politico:
Viaggiando in una comoda auto/ su una strada bagnata di pioggia,/ vedemmo un uomo tutto stracciato sul far della notte/ che ci faceva cenno di prenderlo con noi, con un profondo inchino.//Avevamo un tetto, avevamo un posto e gli passammo davanti/ e udimmo me che dicevo con voce stizzosa: no,/ non possiamo prendere su nessuno.//
Eravamo proseguiti un bel pezzo, forse una giornata di cammino,/ quando d'improvviso mi spaventai della mia voce,/ del mio contegno e di tutto/ questo mondo.
Nei tempi oscuri. Non si dirà: quando il noce si scuoteva nel vento/ ma: quando l'imbianchino calpestava i lavoratori.// Non si dirà: quando il bambino faceva saltare il ciottolo piatto/ sulla rapida del fiume/ ma: quando si preparavano le grandi guerre.// Non si dirà: quando la donna entrò nella stanza/ ma: quando le grandi potenze si allearono contro i lavoratori.// Tuttavia non si dirà: i tempi erano oscuri/ ma: perché i loro poeti hanno taciuto?//
Una nuova casa. Di ritorno da quindici anni d'esilio/ sono venuto ad abitare in una bella casa.//Ho appeso qui le mie maschere "no" e la mia/ pergamena/ con l'uomo scettico.//
Viaggiando attraverso le macerie/ ogni giorno ripenso ai privilegi / che mi hanno procurato questa casa. // Spero che non mi renda indulgente nei riguardi di quei buchi/ in cui vivono tante migliaia di persone.// Sull'armadio coi manoscritti c'è ancora sempre la mia valigia.//".

Credo che queste poche liriche possano essere un buon viatico per meditare su una condizione umana che ciascuno di noi dovrebbe sentire come propria.


Moni Ovadia 

L'Unità - Voce d'Autore del 20/06/2014

 

 

   
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