L'infamia della falsa retorica
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Lo scorso mercoledì, ricorreva il settantesimo anniversario della deportazione degli ebrei romani dal ghetto ebraico dell'Urbe. L'azione programmata dalla metodicità nazista, avvenne al cospetto della popolazione stordita e sotto le finestre del Vaticano. La deportazione era stata preceduta da una delle tipiche messe in scena dei nazisti, ovvero la richiesta, da parte delle autorità naziste alla comunità ebraica capitolina, di fornire cinquanta chili d'oro alle "affamate" casse del Reich per evitare la deportazione stessa che come prevedibile vigliaccamente fu messa in atto ugualmente. Il ricordo di questo tragico evento, ha visto molte commemorazioni alle quali ha partecipato anche il Presidente Giorgio Napolitano insieme ad altre autorità e personalità della politica in occasione della cerimonia tenuta nella sinagoga principale della Capitale. A me personalmente, è toccato il privilegio di dare la voce a parti di un'opera folgorante di Giacomo de Benedetti, grande critico letterario ebreo, "16 ottobre 1943", scritta a ridosso dell'impressione provocata dal rastrellamento degli ebrei romani e di alcuni episodi immediatamente successivi. Ho letto il testo per il programma di Rai 3 "Ad alta voce". Per la stessa occasione sono stato invitato a partecipare al bel talk show della mattina "Agorà", in onda sulla stessa rete e, in attesa del discorso di Napolitano, ad un approfondimento sul tema proposto da Rai News 24 dov'ero in compagnia di due delle migliori teste pensanti dell'ebraismo italiano: la professoressa Anna Foa ed il professor David Meghnagi. Come mia consuetudine da molti anni a questa parte, non ho tanto parlato della tragedia ebraica, ma del profluvio di retorica e di falsa coscienza che si accompagna alle commemorazioni di rito. Ancorché io sia ebreo e senta il dovere della memoria di ciò che accadde alla mia gente come un irrinunciabile imperativo, ritengo che questo dovere, oggi debba essere esercitato smascherando strumentalizzazioni e intossicazioni retoriche. L'Italia è il mio Paese e, a mio parere, rischia di morire soffocato dalle sistematiche menzogne e falsificazioni che gli impediscono di accedere ad un confronto salvifico con stesso. La madre di tutte le retoriche è lo slogan "italiani brava gente". Ora, sia chiaro in Italia c'era e c'è tanta brava gente, ma non in quanto tale; i bravi e i coraggiosi furono e sono tali, gli altri no! Un paese di brava gente non avrebbe lasciato espellere da asili e scuole bambini colpevoli solo di essere ciò che erano e tanto meno li avrebbe lasciati deportare con inaudita crudeltà nell'indifferenza. I fascisti italiani – la "brava gente" - commisero in proprio, senza l'aiuto dei tedeschi – la "cattiva gente" -, due tentati genocidi, Cirenaica ed Etiopia. Tutto ciò appartiene al passato? Davvero? Andate a verificare come vengono trattati oggi i rom e i sinti che furono oggetto dello stesso destino toccato agli ebrei e che oggi, nel paese della brava gente, vengono ancora perseguitati, segregati, sgomberati con perversa cattiveria, oggi come ieri. So che ascoltare tutto ciò può far imbestialire, ma siccome amo il mio paese, non sono disposto a farne il danno con l'infamia della falsa retorica.

Moni Ovadia

Voce d'Autore - L'Unità - 19 ottobre 2013

 

 

 

   
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