L'elefante e la questione israeliana
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L’ossessione ebraica per la propria identità problematica è notoria e ha partorito molte famose storielle. La più celebre è forse questa.

In una scuola elementare di Parigi viene assegnato un tema in classe sull’Elefante. Ciascuno degli alunni sviluppa il tema affrontandolo da un’angolazione diversa. Un bimbo scrive:” la prodigiosa memoria dell’elefante”, un altro invece svolge il compito su:” l’elefante come animale da lavoro”. Un bimbo ebreo propone il suo scritto con il titolo:” l’elefante e la questione ebraica!”.

L’ossessione identitaria degli ebrei si è progressivamente attenuata nel secondo dopoguerra soprattutto con il declino della pandemia antisemita. L’antisemitismo, sia chiaro esiste ancora, ma in termini di intensità, diffusione e virulenza si è esponenzialmente indebolito rispetto al furore che lo caratterizzò nella prima metà del secolo scorso. L’elefante però è rimasto incombente con la sua ingombrante mole nell’orizzonte ebraico, ha solo cambiato indirizzo e, fra le varie residenze ebraiche, ha scelto quella israeliana. L’effetto di questo cambio di indirizzo lo racconta il giornalista e scrittore israeliano Uri Avnery in un suo articolo dal titolo “Occupazione? Quale occupazione?” apparso sul prestigioso quotidiano di Israele Ha’aretz il 7 Giugno scorso:

” (…) possiamo utilizzare la consunta metafora del gigantesco elefante che sta nella stanza dove ci troviamo e di cui noi neghiamo la presenza. Elefante? Quale elefante? Qui? Noi camminiamo in punta di piedi intorno all’elefante, distogliamo da lui gli occhi così non dobbiamo guardarlo. Dopotutto non esiste. Noi stiamo completamente governando sopra un altro popolo. Ciò influenza ogni sfera della nostra vita nazionale – la nostra politica, la nostra economia, i nostri valori, il nostro sistema legale e militare e ancora di più. Ma noi non vediamo – non vogliamo vedere cosa accade a pochi minuti di guida dalle nostre case (…) Ci siamo abituati a questa situazione che vediamo come normale. Ma l’occupazione è intrinsecamente una situazione temporanea anormale (…)

Israele invece ha inventato qualcosa che non ha precedenti: l’occupazione eterna. Nel 1967, poiché nessuna pressione avrebbe portato Israele a restituire i territori occupati, Moshè Dayan se ne venne fuori con un’idea brillante – continuare l’occupazione per sempre (…) Ma noi siamo un popolo morale per lo meno ai nostri occhi. Allora, come risolviamo la contraddizione fra la nostra estrema moralità e le circostanze palesemente immorali? Semplice: scegliamo la negazione”.

Uri Avnery ci spiega che il vero ostacolo alla pace è il negazionismo israeliano che ha contagiato la maggioranza della società di quel paese, delle comunità ebraiche della Diaspora, e della cosiddetta comunità internazionale.


Moni Ovadia L'Unità - Voce d'Autore del 15/06/2013

 

 

   
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