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Pietruccio il viaggiatore

Io Pietruccio Montalbetti lo conosco da sempre, posso dirlo, perché cinquantacinque anni,

in una vita umana possono essere definiti da sempre. Lui ha qualche anno più di me, tre o quattro, è più o meno coetaneo di mio fratello maggiore Sami, io invece sono coetaneo di suo fratello minore Cesare, grande fotografo. Riferisco questi dati anagrafici perché al tempo in cui io avevo 12 o 13 anni si guardava ai ragazzi più grandi con un misto di invidia ed ammirazione e per me Pietruccio era uno dei "grandi". A loro era consentito fare cose dalle quali noi eravamo ancora esclusi. Loro, per esempio, si trovavano a suonare e cantare seduti in una panchina davanti alla fermata dell'autobus A di via Foppa a Milano, a qualche decina di metri da dove si incrociava con via Stendhal e in cui era sito il bar covo di noi ragazzi di quel quartiere. Poi, di colpo, le panchine poste a ridosso delle fermate degli autobus, scomparvero, l'autobus A divenne il 50 e Pietruccio, Lallo e Pepe, i ragazzi che suonavano la chitarra e cantavano divennero i Dik Dik, uno dei più celebri ed amati gruppi del pop italiano oggi a distanza di molti lustri ancora in attività, inossidabile evergreen. Da quel lontano tempo dell'infanzia, per oltre quarant'anni, Pietruccio l'ho incrociato solo in televisione anche se sempre con un sentimento di familiarità. Tuttavia le nostre vite reali mi sembravano destinate a non incontrarsi, altri erano i cammini che avevo imboccato. Ma questa sensazione era figlia di un mio mediocre pregiudizio che voleva un cantante pop confinato esclusivamente in quel mondo. Pietruccio invece l'ho rincontrato e ne ho scoperto una rara ricchezza umana e intellettuale per me insospettabile che si esprime nella dimensione del viaggio. In questo mondo afflitto dalla patologia ipertrofica del turismo è insolito incontrare veri viaggiatori. Pietruccio Montalbetti è uno di loro. Lo è non solo perché ciclicamente fa viaggi impervi, in solitudine, in condizioni prive dei supporti di sicurezza resi disponibili dalla tecnologia dei nostri tempi come i telefoni satellitari, gps e consimili. Pietruccio è un viaggiatore autentico perché lo è interiormente, perché è alla ricerca di se stesso e del senso intimo che si esprime nei luoghi e che germina dagli incontri autentici. Ma ciò che per noi è importante è il suo talento certo e inciso di narratore perché ci permette di viaggiare con lui. Viaggiare, non fare turismo!

 

Moni Ovadia

   

 

Il conto dell’ultima cena

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