Il riconoscimento dello status universale. Unica speranza.
  << indietro
 
  L'atroce assassinio di tre giovani israeliani da parte di non ancora identificati estremisti palestinesi e l'altrettanto efferata esecuzione per vendetta di un giovane palestinese da parte di fanatici israeliani, rischia di aprire le porte dell'inferno più profondo nel già infiammato teatro del conflitto israelo-palestinese. Nelle aree più densamente popolate da coloni e zeloti ultranazionalisti, è già cominciata la caccia razzista all'arabo in quanto tale, scatenando la rabbia della popolazione palestinese. Il primo pensiero che questo stato di cose mi ha provocato, ha preso la forma di una sensazione di irredimibile sconforto accompagnata dalla frustrante inquietudine della paura che questo stato di cose non finisca più. Poi, leggendo vari scritti a proposito di questi avvenimenti, mi ha colpito per la sua incontestabile verità e semplicità, l'affermazione dello zio di uno dei tre ragazzi israeliani uccisi. Yishai Fraenkel ha detto: "Un assassinio è un assassinio. Non importa la nazionalità o l'età...". È lecito pensare che il signor Fraenkel si riferisca sia alla vittima che al suo carnefice. Ora, se di fronte ad una morte violenta non è possibile discriminare, non dovrebbe neppure esserlo nei confronti della vita, della dignità, dei diritti della condizione esistenziale. Ed è qui che si apre la lacerazione nel tessuto della relazione fra gli esseri umani israeliani e quelli palestinesi. È dunque dalla titolarità della condizione universale di ogni uomo che è necessario ripartire. I palestinesi si vedono negata questa titolarità da cinquant'anni a causa dell'occupazione israeliana delle loro terre, con tutto il suo bagaglio di effrazioni allo status riconosciuto ad ogni individuo della specie umana, dalle leggi internazionali come la Carta dei Diritti dell'Uomo. Enfatizzare l'evidenza di questo fatto non è da nessun punto di vista una dichiarazione antiisraeliana o antisemita, non potrebbe esserlo, perché nessuno più e meglio di un ebreo - israeliano o cittadino di altri paesi - dovrebbe capire che l'integrità e l'intangibilità della dignità umana, in ciascuno dei suoi inscindibili aspetti, è la migliore garanzia per la vita di ogni persona che abita questo pianeta. Politicamente ciò significa riconoscere "l'altro" come interlocutore di trattative vere e non di messe in scena pro bono del mantenimento dello status quo che, per altro, implica, de facto, il suo automatico degrado. E significa anche accettare come mediatore un interlocutore neutrale, equidistante, o "equivicino" se si preferisce e non la parte in causa di uno dei contendenti come finora è stato con l'amico americano.

Moni Ovadia 

L'Unità - Voce d'Autore del 5/07/2014

 

 

   
facebook © 2011 OYLEM GOYLEM ALL RIGHTS RESERVED  |   P.IVA 13071690153   |   cookies policy

By using this site you agree to the placement of cookies on your computer in accordance with the terms of this policy