Moni Ovadia: «Io e i rom a teatro contro il razzismo»
 

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di Angela Calvini
Avvenire - 24 agosto 2010

 

«Io sono un pessimo soggetto. Ma mi riconosco un pregio: contro il razzismo lotto fino allo stremo delle forze». Moni Ovadia racconta con passione l’impegno di una vita artistica, dove la radice ebraica si trasforma in canto per la comprensione fra i popoli. In particolare i rom. Dopo le espulsioni di questi giorni dalla Francia e l’appello accorato del Papa all’Angelus di domenica scorsa a favore dell’accoglienza, lo spettacolo che vede Moni Ovadia in scena con artisti nomadi, acquista un sapore di estrema attualità. “Rom & Gagè” sarà infatti il 28 agosto a “Ethnicus”, 6° Festival delle culture migranti, che si svolge nel teatro de Sa Mandria, nei locali dell’ex carcere di Castiadas, in Sardegna.

Moni, l’integrazione passa anche per il teatro?
Da sempre i miei progetti teatrali sono incentrati sulla condizione dell’esule e dello straniero. Nella civiltà occidentale nessuno è stato considerato “l’altro” e “lo straniero”,  la minoranza fuori posto, più di rom, i sinti e gli ebrei. Però gli ebrei, dopo la grande catastrofe, sono entrati nel salotto dei vincitori, di coloro ai quali va riconosciuto tutto. I rom e i sinti no. Tutti conoscono parola “Shoah” nessuno “Porrajmos”, il divoramento: il loro serminio non ha ancora avuto un riconoscimento nell’Europa che lo ha prodotto.

Le espulsioni dalla Francia di questi giorni dimostrano che l’Europa è ancora razzista?
Usiamo le stesse vecchie e stantie argomentazioni razziste usate 100 anni fa contro gli italiani e gli stranieri in Germania e negli Stati Uniti. Gli zingari non hanno istituzioni che li difendano, non hanno uno stato alle spalle. Questa Europa è vile e pavida, continua con stessa logica di discriminazione verso gli zingari e gli immigrati. I nazisti lo fecero in tempo di guerra, noi siamo ancora peggio perché viviamo in tempo pace

La cultura può sfatare i pregiudizi?
Questi “altri” sono una ricchezza per la cultura dell’Europa. Ebrei, rom e sinti sono un popolo capolavoro senza eserciti, senza burocrazie e confini: una lezione enorme. Io racconto la grandezza e la libertà di questi popoli, unendo le tradizioni ebraiche, rom e sinti, e lo straordinario contributo alla musica e ad una filosofia di vita nata dalle sofferenze di chi si sposta in continuo, senza però fare mai la guerra a nessuno. Parto da un brano di Joseph Roth, la prefazione a “Gli ebrei erranti”, scritto nel 1927 ma ancora attualissimo, accompagnato dalle musiche di una complesso di musicisti rom. “Rom & Gagè” è la versione corta di “Oltre i confini: ebrei e zingari” che porto in tour.

I festival sulle culture “altre” si moltiplicano: aiutano?
Certo, questo lavoro culturale porta da qualche parte. Oggi ci sono leggi sulle uguaglianze e diritti della gente grazie alla cultura e alle lotte per un ideale. La mia parte di piccolo teatrante la faccio. Ma c’è altra gente più autorevole di me, come certi sacerdoti cattolici tipo don Ciotti o il leggendario padre pedro del Madagascar. “Ciò che fai allo straniero lo fai a me” dice Gesù e ci sono migliaia di altre citazioni simili nella Bibbia e nel Vangelo. Bisognerebbe leggerli di più.

   
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