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moni_blues
UniversItalia

pp. 294 - 2012

Euro 17,00



 

MonI Blues - Il teatro di Moni Ovadia (Paola Bertolone)

Moni Ovadia è celebrato come uno dei maggiori artisti dello spettacolo contemporaneo in Italia. Riconoscimenti quali il premio Ubu per la sperimentazione su teatro e musica nel 1996, due lauree honoris causa nel 2005 e nel 2007, il premio De Sica per il teatro nel 2010 sono testimonianze del suo valore. La sua attività si è svolta in diversi ambiti: dalla musica come interprete e come produttore alla scrittura saggistica (numerosissime le sue pubblicazioni), dalla radio a interpretazioni cinematografiche, dal giornalismo allo spettacolo. Qui, in oltre venticinque anni, ha esplorato drammaturgia, regia, danza, recitazione, canto e la direzione pluriennale del Mittelfest di Cividale del Friuli. Ma ciò che lo contraddistingue, agli occhi del pubblico italiano, è l'aver dato visibilità al mondo culturale dell'ebraismo est-europeo, soprattutto attraverso la riproposizione del repertorio klezmer con il concorso dei musicisti della TheaterOrchestra e della Stage Orchestra. Il patrimonio dell'ebraismo che si esprimeva in yiddish è la vasta costellazione che nelle sue opere assume consistenza e vita.

 

Il volume affronta l'ambito dello spettacolo nel suo complesso attraverso variegati materiali anche inediti come copioni, disposizioni di scena, immagini fotografiche, recensioni, interviste con molti dei suoi collaboratori fra cui Daniele Abbado, Roberto Andò, Mara Cantoni. Integra il volume, arricchito da numerose immagini (e cito quelle ad opera di Maurizio Buscarino), una raccolta di interventi di Moni Ovadia sul teatro, estrapolati da articoli di quotidiani, dichiarazioni, programmi di sala.

Paola Bertolone è ricercatore in Storia del Teatro e dello Spettacolo all'Università di Siena. Autrice di articoli e saggi fra cui: L'esilio del teatro. Goldfaden e il moderno teatro yiddish, Bulzoni, Roma 1993; I copioni di Eleonora Duse. Adriana Lecouvreur, Francesca da Rimini, Monna Vanna, Spettri, Giardini, Pisa 2000; Ora fluente. Del teatro e del non teatro: l'opera di Alessandro Fersen, Titivillus, Corazzano (Pi) 2009, cui è accluso il documentario in dvd Alessandro Fersen. L'essere in scena. Ha curato i volumi: (con F. Bandini) Divina Eleonora. Eleonora Duse nella vita e nell'arte, catalogo della mostra, Marsilio, Venezia 2001; (con Laura Quercioli Mincer) Café Savoy. Teatro yiddish in Europa, Bulzoni, Roma 2006; Verità indicibili. Le passioni in scena dall'età romantica al primo Novecento, Bulzoni, Roma 2010; Tournée, tornare. Carteggi Duse-Febo Mari e Duse-Bianca di Prampero del museo di Asolo, UniversItalia, Roma 2012.

 

Prefazione di Moni Ovadia

Il teatrante spettatore di se stesso

Il grande compositore Luciano Berio, negli anni '70 condusse sulla Rai una serie di trasmissioni dal titolo C'è musica e musica. Nel corso di una delle puntate, pose la domanda: 'Perché la musica?' a diversi compositori. In genere le risposte erano complesse ed articolate, ma quando rivolse la questione al compositore ebreo francese Darius Milhaud, questi rispose semplicemente 'Pourquoi pas la musique?'. Questa geniale risposta, può essere impeccabile anche per il teatro e per ogni altra forma d'arte. In fondo, dalle grotte di Altamira in avanti, l'arte - alta o bassa che sia - è una delle attività più tipicamente umane. Quanto al teatro, per valutarne l'importanza basti sapere che, verosimilmente, l'esponente più grande della cultura occidentale in ogni tempo, è stato un drammaturgo e teatrante: William Shakespeare. Attraverso l'immaginazione teatrale, il suo linguaggio esplosivo ed ineguagliato, ha 'inventato' l'uomo moderno, lo ha tracciato in ogni aspetto dei suoi comportamenti, delle sue intenzioni e delle sue azioni.

Gigi Proietti, grande attore di teatro, in uno dei suoi poco noti ma incantevoli sonetti in romanesco intitolato Viva er teatro scrive: 'Viva er teatro dove tutto è finto ma gnente c'è de farso'. Il teatro, sacrario laico dell'essere umano, in cui l'uomo specchia se stesso nelle sue realtà intime, anche le più scabrose, è dunque luogo di verità grazie alla pietas della finzione che ci consente di misurarci con la più atroce e terrificante delle verità senza rimanere pietrificati dal volto della Medusa. Per me, che avevo e ho l'irreprimibile ambizione etica di raccontare un mondo eradicato con inaudita brutalità dal corpo dell'umanità martoriata dal tragico e criminale rifiuto di riconoscere e di accogliere l'altro, per me che coltivavo e coltivo l'aspirazione utopica di contribuire a dare futuro ad una gente ridotta in cenere attraverso la trasfigurazione dei suoi valori e delle sue sublimi espressività, il teatro con la sua libertà e la sua lingua capace di raccontare e inventare gli scenari più arditi, è stata una scelta ineludibile. Il mio fare teatro è in questo senso la misura del mio impegno nei confronti dei miei simili e della dignità degli spettatori che mi onorano con la loro fiducia e il dono delle loro emozioni. Oggi, con l'uscita di questa opera di Paola Bertolone, i miei cinquant'anni di palcoscenico - di cui trenta di teatro - trovano una vita compiuta e insieme nuova. Mentre leggo le parole di Paola Bertolone - una studiosa di teatro di grande caratura a cui si devono alcune preziose opere sul teatro yiddish - mi sembra che i miei dieci lustri di travagliata, faticosa ma esaltante creazione scenico teatrale, siano stati al servizio di questo volume la cui scrittura e composizione è il risultato di una lunghissima, meticolosa ed appassionata ricerca in materiali rapsodici, aleatori, spesso dispersi e soprattutto mai organicamente sistematizzati. Solo recentemente è stato composto, ad opera di Paola Savi, un vero sito ricco di molte informazioni e suggestioni.

Il lavoro della professoressa Bertolone si è dipanato nel corso di molti anni e la tela della sua ricerca è stata tessuta con pazienza, caparbietà ed arte, anche nel corso di molti incontri con me personalmente e con i molti compagni di strada che sono parte integrante e imprescindibile del mio percorso. In ogni aspetto di questo libro, mi riconosco. Dal titolo, che non so se merito ma che mi commuove, alle scelte di 'categorizzazione' dei miei lavori e delle mie ricerche stilistiche nelle quali posso finalmente vedermi da fuori, come spettatore interessato ed appassionato di me stesso, un privilegio raro e perturbante. In ciò che ho fatto, nelle strade e nei vicoli del mio viaggio teatrale, c'è stato molto pensiero, moltissima riflessione critica, molti confronti, diretti e solitari con i maestri che ho avuto l'onore di conoscere e frequentare. Sconvolgente e vertiginoso, è stato in particolare l'incontro/scontro con il grandissimo Tadeusz Kantor a cui devo il nucleo radiante della mia ossessione teatrale, del tentativo radicale di una poetica drammaturgica e persino di una inconfessata ambizione di Weltanschauung etico-estetica via teatro. Tutto questo e molto altro, nel momento dell'andata in scena, nell'hic et nunc del gesto teatral-musicale, si è depensato perché era necessario che si depensasse per dare vita alla rappresentazione. Oggi Paola Bertolone, con la sua meticolosa disamina critica, con il suo sguardo acuto e partecipante, ricompone un ricco caleidoscopio di pensieri, di processi, di idee, di discussioni, di iridescenze, di smarrimenti, di ostinazioni sospesi fra urgenze stilistiche e imperativi etico-sociali in cui mi rivedo stagione dopo stagione, così come possono riconoscersi umanamente ed artisticamente le persone che con me sono state protagoniste e co-protagoniste e gli spettatori che mi hanno generosamente seguito nel corso degli anni.

Oggi contraggo un debito con Paola Bertolone e poche volte nella mia vita di teatrante un debito mi è stato tanto necessario e gradito.


 

   
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