Kavanàh - Rassegna stampa

 

«L'ebreo errante e il saltimbanco»

Moni Ovadia in tour con Kavanàh riprende la tradizione ebraica pre olocausto che i nazisti avrebbero voluto cancellare

di Pierpaolo De Lauro

Left4 - 25 gennaio 2008

 

Viaggiatore instancabile e scrittore prolifico, con i suoi spettacoli Moni Ovadia porta in giro per il mondo la cultura ebraica, senza risparmiare qualche critica. Più che intellettuale ama definirsi un saltimbanco marxista che traffica da agnostico con la spiritualità. «Saltimbanco perché punto un po’ all’aspetto ciarlatanesco, libero, senza regole - spiega -. Agnostico perché non sono un credente: se il divino c’è, si trova nella relazione tra due persone, tra uomo e bambino. Sospeso tra cielo e terra perché qualcosa che appartiene solo
alla sfera materiale prima o poi diventa spazzatura, e qualcosa che si vuole elevare al di sopra della fragilità dell’uomo rischia di diventare fumo. Invece bisogna continuare a muoversi sempre tra queste due dimensioni». Nel suo ultimo spettacolo, Kavanàh (edito in dvd da Promomusic), che l’attore - autore di origini bulgare sta portando in giro per i teatri italiani, raccoglie le storie e i canti
della tradizione spirituale ebraica. Mescolando nel tessuto drammaturgico battute feroci sugli ebrei come vuole lo humour nero del witz ebraico, canti, antiche preghiere, storielle curiose e riflessioni paradossali come quella sul rapporto tra la teoria della relatività di Einstein e il sabato ebraico, quando è vietato fare qualsiasi attività. L’ironia, declinata anche e soprattutto come autoironia, è
sempre protagonista della sua opera perché «nell’ebraismo il divino ha una relazione molto forte con il ridere». Ma, al tempo stesso, Ovadia non perde la sua vis polemica e politica, critica anche nei confronti degli ebrei stessi. «Gran parte dell’ebraismo italiano è appiattito sulla questione d’Israele - denuncia -. Non riesce a staccarsi da quel problema. Essere ebreo per me è essere un uomo con una patria mobile che si chiama Torah, che vuol dire insegnamento e che contiene strumenti per costruire coscienza critica, una società di uomini uguali e per portare la giustizia sociale su questa terra.
Il vero ebreo è quello che si ricorda che questo è il suo compito, un mondo in cui l’essere umano e la vita sono centrali e non subordinati ai meccanismi della produzione del consumo».
Essere ebreo nell’Italia di oggi comunque continua a essere difficile, il razzismo non manca e le ventate di fascismo continuano a soffiare, anche se hanno nuovi obiettivi: i rom. «Gli ebrei e i rom sono stati una sola cosa come condizione umana ed esistenziale fino al primo decennio del secondo dopoguerra, poi la vicenda è completamente cambiata, oggi gli ebrei si sono schierati con i vincitori anche se mantengono ancora elementi del passato. Il razzismo c’è ancora, ma gli ebrei sono molto scomodi da attaccare e allora si attaccano i rom perché sono indifesi, pochi, sufficientemente gravabili di pregiudizi. Essere gentili con gli ebrei fa molto carino, si partecipa ai giorni della memoria e così via. Ormai molti ebrei hanno perso i tratti di alterità, assomigliano ai non ebrei. Gli zingari invece mantengono la loro diversità».



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