Le Supplici - Rassegna stampa

 

"Le Supplici" di Ovadia entrano nel grande repertorio del teatro europeo

18 maggio 2015 Le Supplici

UN ESPERIMENTO RIUSCITO

di Gianni Bonina

Un'ora prima del debutto Moni Ovadia ha detto che non avrebbe potuto immaginare diversamente Le Supplici: "E' il mio spettacolo. Un altro non lo so fare". Consapevole dei rischi che il suo temerario adattamento correva per eccesso di novità (la commistione di dialetto siciliano e greco moderno, il tono di cantata e di ballata dato a tutta la rappresentazione, il tradimento pressoché totale della traduzione di Paduano nonché del testo di Eschilo), il regista di ascendenza ebraica ha nondimeno creduto nella sua operazione fortemente innovativa, quasi dirompente, e il pubblico gli ha dato ragione.

Le sue Supplici saranno ricordate come una tappa fondamentale nel processo di rivisitazione del teatro antico in direzione dell'adeguamento allo spirito moderno e alla cultura del nostro tempo di cui gli Spettacoli classici di Siracusa costituiscono non da oggi un fiorente laboratorio di ricerca e di sperimentazione. Il risultato è andato ben al di là delle migliori supposizioni e ha allineato Ovadia ai grandi novatori del teatro europeo, da Grotowski a Mejerchol'd, da Beck a Artaud, quel "teatro di rivolta" al quale si pensava che non potesse entrare anche il teatro greco antico e che invece abbiamo rivisto rinascere sotto il Temenite di Siracusa.

La rivolta guidata da Ovadia ha riguardato innanzitutto gli schemi mentali consolidati circa l'intangibilità del testo e della struttura della tragedia: il primo è stato trasposto in un cuntu siciliano, la seconda è diventata un musical contemporaneo dentro il quale per magia è rimasta tuttavia integra, anzi esaltandosi, l'intonazione classica, evocata nei ritmi orientali di tipo giambico, negli accenti strumentistici, nella stessa ridondanza dei cori che anziché farsi rutilante ripetitività hanno assunto l'accordo di una percussività non solo capace di risvegliare ancestrali suggestioni mistiche e tribali, proprie di un mondo primitivo ed extraeuropeo, ma anche di cogliere il senso di orazione civile che la perorazione collettiva delle Danaidi, insistente e accanita quanto i successivi atti di ringraziamento, intendevano rappresentare.

La varietà dei motivi musicali, tutti scanditi su un modello vagamente ispirato alle antiche cantate contadine siciliane, epperò commisti a significativi apporti mediorientali e africani; il febbrile andamento delle coreografie, cadenzate sul frenetico di indistinte e arcaiche ballate impetrative senza luogo e senza tempo; il senso di circolarità e di pienezza dei movimenti, modulati secondo velocità diverse, dalla fissità delle guardie argive alla lentezza spasmodica della loro apparizione fino alla concitazione delle Danaidi; l'argentino intervento del cantastorie padrone di una voce tonante che da sola bastava a dominare la scena: sono stati tutti questi elementi insieme a instillare una sensazione di straniamento, di perdita della concezione del tempo e delle coordinate di spazio e di presenza, facendo di un musical sospeso tra antico e moderno un mezzo di fascinazione tenuto compatto dalla parola e dalla musica: parola molte volte incomprensibile ma fortemente musicale e musica altre volte sufficiente a pronunciare sensi compiuti.

L'acceso diverbio tra Pelasgo e l'Araldo degli Egizi (un immedesimato Marco Guerzoni), giocato sul ritmo di una serrata sticomitia nel confronto di siciliano e greco moderno, è stato il punto di fusione in cui mondi remoti, lingue di epoche distanti, civiltà contrapposte si sono incrociati e compresi. Forse è stato questo il momento di maggiore emozione e di più vibrante attesa: momento che a molti spettatori non ha potuto non ricordare, nella pretesa degli Egizi di avere le Danaidi e nel fermo rifiuto del re degli Argivi, una recente pagina di storia italiana, più precisamente siciliana: il tentativo nel 1985 dei reparti speciali americani di avere a Sigonella i sequestratori dell'Achille Lauro, tentativo neutralizzato dalla fermezza dei carabinieri in nome di un dovere di protezione nei confronti di stranieri pur'anche rei di crimini di sangue sentito al pari di Pelasgo come obbligo inderogabile di una sana democrazia.

Ovadia, interprete di Pelasgo, ha saputo rendere questo sentimento solidaristico sotteso alla migliore politica internazionale di ogni tempo con la forza sorgiva che gli viene dalla sua lunga militanza umanitaria. La sua voce potente e declamante si è levata nell'affermazione di un principio la difesa del quale deve valere anche una guerra. Gli ha fatto da contraggenio il timbro vocale acuto e sostenuto del cantastorie, un Mario Incudine al quale si deve gran parte dell'adattamento anche musicale: il suo ruolo, preso di peso dalla tradizione siciliana, di nuncius che anticipa e spiega i fatti in una sorta di parabasi trasposta dalla commedia attica ha significato il fatto nuovo e trasgressivo valso a sicilianizzare la tragedia laddove soprattutto il cantastorie si è rivelato nei panni di Eschilo dicendosi "poeta siciliano".

Il suo dialetto parlato, risonante e squillante, non è stato da meno di quello selvaggio e rurale di Donatella Finocchiaro, una corifea piena di personalità e ricca di accoramento e spavento, che si è fatta notare per la determinazione della sua presenza e una spiccata versatilità canora, recitativa e coreografica. Sia pure molto faticoso per gli incessanti movimenti e l'accrescimento dei canti, il ruolo delle Danaidi è stato ricoperto con levità dalle allieve della scuola dell'Inda che hanno dato agli ondivaghi atteggiamenti delle profughe egiziane una coscienza di erinni d'Oltremare, ora supplichevoli e ora temibili e invasate. Hanno dato sonorità e fiato, con vocalizzi, strofe anapestiche, sibili gutturali e rumori sordi, alla protagonista assoluta della tragedia, cioè la musica: martellante, palpitante, sferzante, come proveniente da un fondo di suoni perduti capace di suscitare immagini e forse anche sogni. L'insieme di tamburi, clarino, chitarra e fisarmonica ha composto un'armonica di suoni mediterranei miscelati e variegati in uno spartito originale che sia pure inaudito suggerisce melodie già sentite e ripescate dalla memoria comune. In omaggio a Siracusa e al suo teatro greco, Ovadia ha portato Le Supplici in Sicilia e la Sicilia nel repertorio del teatro europeo.
   
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