Delfi - Rassegna stampa

 

Dopo il successo del cabaret yiddish, nuova performance del musicista cantante

Ovadia errante arriva a Delfi Il mondo poetico di Ritsos in uno spettacolo a tre dimensioni

di Valeria Crippa

Il Corriere della Sera - 18 maggio 1994 


“Non vorrei frequentare un club in cui mi avessero accettato come socio”.

L’ affermazione paradossale, notissima, e’ di Groucho Marx, ma pronunciata da Moni Ovadia si vena di sfumature inedite che risuonano di antichi echi. Ora un po’ corpulento (le foto distribuite dagli organizzatori dell’ imminente spettacolo sono un po’ datate), un viso da maschera greca, lo sguardo senza sosta, Ovadia, autore e interprete di un prezioso cabaret yiddish intessuto di citazioni, storielle e canzoni klezmer, ha costruito il suo teatro sul filo dell’ umorismo spinto al paradosso. Dal suo primo lavoro yiddish “Dalla sabbia dal tempo”, malinconico e struggente, scritto assieme a Mara Cantoni e presentato anni fa nell’ ambito del “Festival di cultura ebraica” al “Franco Parenti” . teatro che con Ovadia ha un rapporto privilegiato e progetti in cantiere . fino al recente e fortunatissimo “Oylem Golem” (ripreso dopo il debutto del novembre scorso sempre al Parenti per due settimane, terminate sabato scorso davanti a platee plaudenti e foltissime), pubblico e critica hanno dimostrato di apprezzare il suo lavoro.

Una ricerca costruita sulla contaminazione tra differenti sonorita’ linguistiche, sull’ accostamento di musiche etniche e sul gusto dissacrante della cultura ebraica. In particolare, un contrassegno dello stile personalissimo di Ovadia è offerto dal gioco autolesionista dell’ ebreo che irride a se stesso con una sequenza feroce di autogol che riesce a vanificare, senza sforzo apparente, anche l’ attacco del piu’ agguerrito antisemita: “L’ ironia - dice Ovadia - è il modo piu’ efficace per spiazzare l’ avversario. Il segreto sta nel mantenere sempre la distanza con cio’ che si racconta. Mi hanno chiamato il Woody Allen europeo, ma non credo che questa definizione sia appropriata e francamente mi sembra eccessiva, a parte le differenti matrici culturali . e aggiunge intervallando la conversazione con aneddoti tratti dalla Bibbia e citazioni da Freud .: io nasco come folksinger e non mi considero un comico”. Ebreo bulgaro con remote origini levantine e slave, un bisnonno di Salonicco, Ovadia e’ a Milano dall’ eta’ di tre anni. “Appena in tempo . racconta . per conoscere una Milano diversa, quella proletaria e sottoproletaria oggi scomparsa che ha inciso profondamente con il suo dialetto ricco e ironico sul mio modo di fare teatro. Dico questo . precisa . come dato culturale, al di la’ della banale polemica politica”. Ora “l’ ebreo errante” arriva a Delfi, nuova tappa del suo singolare percorso artistico e titolo dello spettacolo in scena al teatro di Porta Romana domani e venerdi’ per la quarta edizione della rassegna “Suoni e visioni”, ormai alle ultime battute. “Delfi” e’ uno spettacolo multimediale che porta la triplice firma di Ovadia, dello Studio Azzurro, il Centro milanese di produzione video e di ricerca artistica creato da Paolo Rosa, Fabio Cirifino e Leonardo Sangiorgi, e del compositore Piero Milesi. In “Delfi” interpretato dallo stesso Ovadia e da Elena Sardi, il mondo poetico del greco Ghiannis Ritsos si interseca all’ eredita’ vocale di Demetrio Stratos, la scrittura linguistico vocale di Ovadia si unisce al lavoro che Piero Milesi (live electronics) ha compiuto in chiave minimalista sul ritmo piu’ turistico della Grecia, il sirtaki, e alla ricerca sul buio di Studio Azzurro che utilizza telecamere a raggi infrarossi. Conclude Ovadia, affiancato da Paolo Rosa di Studio Azzurro (regista con Luca Scarzella): “Ognuno di noi, con la propria individualita’ artistica ha contribuito alla ricerca di un’ immmagine che sia il piu’ possibile autentica e distillata e che ci riconduca al vero suono dell’ anima”.

 

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(18 maggio 1994) - Corriere della Sera

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