tevije_note © Photo: Maurizio Buscarino
 

Tevije un Mir - Note d'autore

Un grande personaggio.
La letteratura e l’arte espressa dal popolo dello yiddish nel corso della propria esistenza relativamente breve,  se la si considera in relazione ad altre letterature, ha tuttavia disegnato un paesaggio umano e culturale che si è iscritto nel cuore dell’Europa. Il tragico destino della sua gente e della sua lingua sembrava aver messo la parola fine ad un intero mondo, ma sorprendentemente, contro ogni evidenza e a dispetto di ogni logica, dal grande diluvio sono emerse isole di sopravvivenza. Attraverso fragili istituzioni, emozioni musicali, iridescenze teatrali, vocazione di scrittura, voglie di studio, il microcosmo della yiddishkeit è tornato a fare sentire la propria voce, raggiungendo e toccando un “pubblico” di stupefacente vastità.
Se si abbandona la superficie del fenomeno e si indaga con maggior cura, si comprende il perchè di tanto interesse. I topoi e gli umori dell’ebraismo orientale hanno impollinato di sè l’intera cultura occidentale attraverso gli scritti, le immagini e le arti sceniche. L’omino chapliniano vessato dalla malasorte e dalla protervia dei potenti, mai domo, sempre proteso alla ricerca del riscatto, vinto e difensore dei vinti, attraversa nel suo cammino tutti i tipi e i caratteri dello shtetl (la cittaduzza ebraica dell’Europa orientale). La scena, il cinema ela  letteratura americana del Novecento, così come l’intera avventura dell’esprit mitteleuropeo , sono impensabili senza quel contributo fondante.
Lo splendore umano dell’ebreo orientalesa esprimersi nell’assenza di certezze, a cavallo dei confini, nel dolore delle continue persecuzioni. Egli costruiscecon l’ausilio di un umorismo autodelatorio, di una fede non dogmatica eppure spasmodica, un progetto di vita sospeso fra cielo e terra, fra l’attesa messianica di una redenzionein una terra redenta e la gloificazione  dell’esilio come ideale etico. Queste magnifiche antinomie proposte come prassiesistenziale, offrono all’uomo post-moderno, che tanto assomiglia al violinista chagalliano deprivato della forza di gravità, disarticolato nella sua collocazione spazialee condannato all’incertezza globalizzata in un personaggio centrifugo, un prezioso farmaco contro le sicurezze seminatrici di intolleranza e violenza. La stessa lingua yiddish, con la sua natura anarchica e la sua vocazione cosmopolita transterritoriale, capace di adattarsi al mutare dei contesti, rappresenta un paradigma di lingua per un mondo multietnico: rifiuto di un centro prepotente a favore di pulsante policentrismo.
Il genio di Shalom Alechem - uno dei massimi scrittori dello yiddish - ha saputo rappresentare nella figura di Tevije il lattivendolo, i tratti di pietas, di fede, di bonomia e di intimità con Dio propri del carattere dell’ebreo orientale. Lo ha fatto con l’estro del grande umorista, ma anche con profonda ammirazione per un piccolo ebreo che sa affermare i propri valori con forza e senza fanatismo, consapevole del fatto che l’essere umano, la vita e perfino la sua povera cavalla azzoppata di lattivendolo ambulante, sono il centro della santità ebraica .
Lo sa bene  lui, che trascorre buona parte della sua giornata in conversazione animata e spesso polemica con l’Eterno. Tevjie ha già ricevuto gli onori di un musical  di un film omonimo: Il violinista sul tetto di Norman Jewison. L’ammirevole arte popolare statunitense, ricca di mille talenti ebraici, ha dato il suo contributo a questa figura.
La yiddishkeit è stata tuttavia parte pulsante della cultura ebraica in Europa, qui si è consumato il suo annientamentoe anche qui alcuni pazienti tessitori hanno iniziato a ricomporre minuscoli frammenti di memoria e vita  di quel mondo.
Personalmente ho dedicato gran parte del mio lavoro - una decina di spettacoli e qualche libro - a questo progetto.  Ho sempre pensato che il personaggio del “lattivendolo” dello shtetl contenga una celebrazione dell’uomo nella modalità ebraica e che il tema si offra a concezioni di rappresentazione altre dalla commedia musicale all’americana. Penso a una forma di operina musicale non necessariamente realistica, ma piuttosto a una trasfigurazione espressiva che coniughi il mio stile teatrale maturato negli anni di lavoro con la mia compagnia di musicisti, la sognante visionarità dei personaggi di Marc Chagall e la lezione kantoriana. Un’operina che preveda una compagnia composta da attori, danzatori ed elementi del teatro di figura.
Cantare la figura di Tevjie è cercare l’essere umano fragile e sublime che non vorremmo abbandonare per sempre al suo tragico destino di annientamento.

Moni Ovadia

facebook © 2011 OYLEM GOYLEM TUTTI I DIRITTI RISERVATI   |   P.IVA 13071690153   |   cookies policy

 

Utilizziamo cookies tecnici e di Analytics (anonimi) per rendere il nostro sito fruibile e funzionale