Il violinista sul tetto - Rassegna stampa

 

E Broadway parla yiddish

di Alessandra Vitali

La Repubblica - 20 novembre 2002

 

L’attore e regista porta in scena il celebre musical e lo riconsegna alla tradizione ebraica delle origini.

Prima nazionale a Bologna, poi in tour nei teatri d’Italia

 

BOLOGNA - “Senza la nostra Torah, le nostre vite sarebbero tremolanti come un violinista sul tetto”. E’ in questa metafora della fragilità dell’uomo, in bilico fra terra e cielo, bisognoso di una fede, il significato di Fiddler on the Roof, considerato uno dei capolavori del teatro musicale americano, che Moni Ovadia porta in scena, nelle vesti di regista e protagonista, restituendo all’opera il carattere yiddish delle origini. Il violinista sul tetto debutta in prima nazionale a Bologna, teatro Arena del Sole, dove resterà dal 20 al 24 novembre, per poi toccare tutte le principali città d’Italia.

La storia è tratta da uno dei racconti umoristici, in lingua yiddish, di Sholom Aleichem, pseudonimo dello scrittore ucraino, di origine ebraica, Solomon J. Rabinowitz, scomparso nel 1916, costretto ad emigrare negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni contro gli ebrei in Russia, i famigerati pogrom. Protagonista de Il violinista sul tetto è Tevije il lattivendolo, misto di semplicità, saggezza e sconfinata fiducia nel genere umano, che punteggia la storia alternando situazioni rocambolesche e monologhi con Dio.

Intorno a lui, la moglie Golde, cinque figlie, di cui tre in età da marito, e gli abitanti del villaggio. Un microcosmo che ruota intorno alle convenzioni, sociali e religiose, della tradizione ebraica, in cui la vita viene affrontata con gioia e semplicità. Fino all’epilogo, amaro, della persecuzione e dell’esilio, perché non c’è scampo dal conflitto fra popoli e culture.

Ma Tevije, pur vincolato alle tradizioni, cede di fronte alle sollecitazioni delle figlie innamorate. “E l’antifondamentalista - spiega Moni Ovadia -, e tra le regole e l’essere umano sceglie quest’ultimo, che è più importante di qualsiasi altra cosa”. Anche quando una delle figlie fa la scelta per lui più inaccettabile: fidanzarsi con un russo, simbolo delle persecuzioni. Combatte, si ribella, cita la Bibbia, ma alla fine si arrende e benedice la coppia; “Demolisce le regole - afferma Ovadia - a favore dell’umanità”.

Il violinista sul tetto è andato in scena per la prima volta nel 1964, acclamato come un evento fra i più rivoluzionari nel panorama teatrale degli Anni Sessanta che contribuì, insieme a West side story, alla nascita di una nuova era per il musical americano. Un successo incredibile di pubblico e di critica che andò avanti fino al 1972, anno dell’ultima rappresentazione (dopo 3.242 repliche). Fra le edizioni più celebri, quella al Majesty Theatre di Londra, nel 1987, e al Regent Theatre di Melbourne, nel 1988. Da non dimenticare una versione cinematografica, nel 1971, vincitrice di tre premi Oscar.

L’edizione portata in scena da Moni Ovadia offre un’opportunità unica di lettura dell’opera, nel solco della tradizione teatrale europea e della tradizione culturale ebraica, ovvero il suo contesto originario. Il testo e le canzoni sono cantate nella lingua yiddish invece che in inglese, la regia guarda alla lezione stilistica del teatro yiddish.

Artefice dell’operazione, l’attore e cantore che ha fatto della mamelushn, la lingua-mamma (ossia lo yiddish), il suono e il segno della memoria. E che ha portato fra i goym, i gentili, la cultura yiddish, la vita dello shtetl, la musica klezmer con spettacoli di grande successo come, fra gli altri, Oylem Goylem, Ballata di fine millennio, Dybbuk.

In scena nel Violinista, accanto al protagonista, un corpo di ballo composto da danzatori acrobatici provenienti dall’est europeo e musicisti-attori con funzione drammaturgica e recitante; “Una sorta di coro-popolo - spiega Ovadia - che interagisce con i personaggi veri e propri e che, intrecciando le proprie danze improvvisate con il movimento professionale del corpo di ballo, dà vita a forme coreutiche grottesche e paradossali”.

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