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Oylem Goylem - Frammenti di testo

(...) Nell'esilio si perdono molte cose, prima fra tutte la propria lingua.

Alla prima generazione già vacilla, alla seconda si sgrana, alla terza, verosimilmente, viene inghiottita dal nuovo territorio linguistico.

Ciò non accadeva alla lingua che noi vi cantiamo, lo yiddish che, al contrario, dell'esilio e per l'esilio viveva e di esso si alimentava ribollendo come il mosto a primavera.

Incontrando questa lingua sul suo cammino, così ne parlava un grande Saggio di

Praga rivolgendosi ad un pubblico della borghesia ebraica praghese di lingua e cultura tedesche:

 

"Avanti la recita dei primi versi di poeti ebrei orientali vorrei ancora dirvi,

egregi Signori e Signore, che Voi capite molto più yiddish di quel che pensiate...... il che non può accadere finché alcuni di Voi hanno, di questo gergo, una tal paura, che quasi gliela leggo in viso.

.....Lo yiddish è la più giovane lingua europea, non ha che quattrocento anni e in realtà è ancora più recente. Non ha ancora formato strutture linguistiche così nette come ci sono necessarie. Le sue espressioni sono brevi e nervose.

Non ha grammatica. Certi amatori tentano di scrivere delle grammatiche, ma lo yiddish viene parlato senza sosta, e non trova pace. Il popolo non lo cede ai grammatici.

Esso si compone solo di parole straniere. Queste però, non riposano nel suo seno, ma conservano la fretta e la vivacità con cui sono state accolte.

Lo yiddish è percorso da un capo all'altro da migrazioni di popoli.

Tutto questo tedesco, ebraico, francese, inglese, slavo, olandese, rumeno e perfino latino che vive in esso è preso da curiosità e da leggerezza, ci vuole una certa energia a tenere unite le varie lingue in questa forma.

Perciò nessuna persona ragionevole penserà mai a fare dello yiddish una lingua internazionale, benché l'idea si offra quasi da se'.

Solo il linguaggio della malavita vi attinge volentieri, perché gli occorrono non tanto nessi linguistici quanto singoli vocaboli.

E poi, perché lo yiddish è stato a lungo una lingua disprezzata".

 

Così, Franz Kafka. (...)

   
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