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Kavanah_CD
 

Kavanàh (2005)

Viaggio nel canto spirituale degli ebrei. La Toràh racconta che l’Universo é stato creato dalla parola del Santo Benedetto: “Disse luce e luce fu”. Lo strumento della creazione é la voce dell’Onnipotente. La creazione é dunque un fenomeno acustico, così come in seguito lo sarà la rivelazione ad Abrahamo prima, a tutto il popolo ebraico poi, nel deserto del Sinai: “Avete udito una voce, solo una voce”. Non c’é teofania nel monoteismo ebraico ma “teofonia”. Dio si manifesta con una voce ed é la sua parola parlata che consente sia la creazione, sia la rivelazione. Che differenza c’é fra la parola scritta che custodisce il patto e la legge, e quelle parlata che crea e rivela? La risposta é semplice anche se non evidente: il suono, il canto. Il canto conferisce dunque statuto generativo alla parola. I maestri della cabalàh, la mistica ebraica, osservano che la prima parola della Toràh, “in principio” - bereshit in ebraico - contiene uno straordinario anagramma: taev shir, voluttà di un canto. Si può poeticamente affermare con i cabalisti, che il mondo é stato creato per la voluttà di un canto. I cabalisti ci segnalano anche che l’ultima parola del pentateuco, la legge biblica, Israel, contiene un ulteriore potente anagramma: shir el, canto a Dio. Come una culla, il canto culla la legge. Il canto é lo strumento principe della comunicazione interiore, il canto é la prima gemmazione della nostra identità quando appariamo alla luce uscendo dal ventre materno. Ancora non vediamo, non sentiamo, eppure gà cantiamo, urliamo il nostro hinneni, il nostro “eccomi” e, vagito dopo vagito, vocalizzo dopo vocalizzo, sillaba dopo sillaba, conquistiamo la lingua mettendoci in cammino per il canto. In seguito perderemo la grazie di quel canto interiore perché saremo imprigionati in un contesto di apprendimento burocratico e rigidamente normativo. La cantorialità ebraica, khazanuth, una delle grandi arti della spiritualità monoteista, ci consente di riprendere il viaggio nei territori profondi dell’animus umano dove si manifestano le pulsioni primarie a costruire senso nelle proprie emozioni e nelle strutture profonde del sentimento. Per questo lo strumento interpretativo più importante del cantore é la kavanàh, la partecipazione, l’adesione al canto come dialogo intimo con l’urgenza del divino in presenza come in assenza.


Musicisti:
>> Moni Ovadia: voce
>> Emilio Vallorani: flauto
>> Massimo Marcer: tromba
>> Luca Bonvini: trombone
>> Paolo Rocca: clarinetto
>> Stefano Corradi: clarinetto, clarinetto basso
>> Janosh Hasur: violino
>> Albert Mihai: fisarmonica
>> Marian Serban: cymbalon
>> Vincenzo Pasquariello: pianoforte
>> Luca Garlaschelli: contrabbasso
>> Direzione musicale: Emilio Vallorani

Brani:

01. Per il Padre Re - 7’.51”
(Ovadia-Marcer) da Avinu Malkeinu
02. Misericordioso Requiem - 10’.43” 
(Ovadia-Vallorani) da El Mole Rakhamim
03. Ascolta la mia Voce - 4’.19”
(Ovadia-Vallorani)
04. Padre dell’ Universo - 7’.04”
(A-Intro - Hasur/B-Studio - Ovadia, Vallorani)
da Moron de Vishemayo
05. Lekhà Doydì - 8’.32”
(S. Carlebach)
06. Variazione Modale - 4’.38”
(Ovadia-Pasquariello) da Sh’mà Isroel
07. Inno - 6’.06”
(Ovadia-Vallorani) da Le Doyvid Mizmoyr
08. Variazioni per un ritorno - 10’.04”
(Ovadia-Vallorani)
09. Rapsodia Tzigana per lo Yom Kippur 6’.26”
(Ovadia-Marcer) da Yah-Aleh

 

   
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