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La città possibile

Prefazione al libro di Ivan della Mea  

Io, tutte le volte che penso a Ivan della Mea, o che parlo di lui ed entrambe le cose mi accadono spesso, provo nei suoi confronti un insopprimibile risentimento perché ci ha fatto il torto di lasciarci così presto e il torto lo ha fatto a me personalmente. La sua perdita come quella di pochissimi altri, mi ha lasciato orfano nella sua e nella mia Milano. Sapere che lui c'era - anche se in esilio insieme al grande, grandissimo Istituto de Martino che lui dirigeva, espulso stupidamente e sciaguratamente dalla capitale morale ormai divenuta capitale della corruzione e dello sfascio politico - era per me di conforto. Uno dei massimi cantori della civitas meneghina e della sua lingua gaglioffa e affettiva continuava a cantare con la sua vociaccia magistrale e il suo stile aleatorio di magnifico interprete, e anche se non ero lì ad ascoltarlo lo sentivo egualmente e se incappavo in un suo scritto sempre necessario come lo era lui, tiravo un sospiro di sollievo; per un po' l'aria della città si faceva respirabile, e il nostro mondo profanato dal lerciume politico del berlusconismo ritornava ad essere riconoscibile nel bagliore della sua presenza, di una sua canzone e di un suo scritto. Davvero Ivan non me lo doveva fare di lasciarmi senza l'appoggio del suo essere e del suo esserci. Gli dovevo molto, e non ho fatto in tempo a ripagarlo. Non ho fatto mai in tempo a fare sì che mi sentisse cantare quel suo capolavoro che è " sent un po Giuan te se ricordet" e che tutte le volte che lo canto non posso trattenere le lacrime. La sorte bastarda ha voluto che glielo dovessi cantare in memoria. Adesso grazie alla moglie Clara e ai figli Sara e Pietro ho l'onore e il privilegio di presentare questo suo scritto "La città possibile" che esce postumo. Chiunque lo leggerà e sarebbe obbligo leggerlo per ogni Milanese che voglia capire la Milano da non bere e non bevuta, ma anche per ogni persona che anche da fuori voglia entrare nelle fibre intimamente umane che sotto stanno e sovra stanno alla Milano della moda, degli happy hour e del meneghinismo rozzo, straccione e razzista della Lega. Così come anche un solo verso in milanese di Ivan sa rivelare l'anima della lingua bassa e nobile del sommo Porta, allo stesso modo questo viaggio-diario nella nostra Milano, composto di articoli scritti da Ivan sull'Unità nello spaccato di un lustro cruciale, quello che precede cronologicamente la discesa in campo, ce la racconta nel suo esistere corale e individuale a partire dall'angolo visuale dell'Arci Corvetto per allargarsi agli orizzonti noti e inediti degli itinerari topografici e antropologici, botanici e zoologici. Lo sguardo di Ivan insieme intenso e minuto non tralascia nulla. Spazia dalla visione dell'umanità più autentica che si incarna nella nobiltà di "classe" di un pensionato o della vedova leale di un compagno operaio che non c'è più, alla cosità delle deiezioni inquinanti e puteolenti, dalla maestà di un vecchio cane che è esempio di bon ton per gli intemperanti giovanotti della sua specie, all'inciviltà della spazzatura vile e indifferente, dallo svacco disperato di una tossica al virgulto di verde di un piccolo buon provvedimento politico che sembra aprire uno spiraglio alla città possibile. Ivan percorre il tempo, lo spazio, gli spazi, e persino gli intersizi della nostra città europea soi disant con un osservazione densa degli sfregi grandi e piccoli che le vengono inferti, delle ingiustizie di ogni calibro disseminate con dovizia da speculatori, furfanti e politici indegni, ma non cessa mai di cercare con caparbia la città possibile, le gesta di chi si oppone, di chi si mobilità per non cedere, per resistere. Ivan ha molti talenti per viaggiare e costruire il prezioso diario del suo viaggio diuturno e indefesso, passione, ironia, superfluente umanità, autentica pietas per gli esseri umani, soprattutto per gli oppressi, gli sfruttati, gli emarginati, gli altri, i vinti. Ma lo strumento principale che gli permette di vedere ciò che vede e di descriverlo è l'umanesimo comunista, la Weltanschauung che si fonda sul valore dell'uguaglianza e della giustizia sociale e che illumina una relazione fra gli esseri umani, fra i cittadini e la civitas redenta dal veleno dello sfruttamento dell'uomo sul proprio simile e sul proprio habitat. Il fondamento democratico di questa visione non è stato mai riconosciuto dalla cultura liberale e tanto meno da quella liberista. I disgustosi revisionisti poi l'hanno sempre capziosamente omologato con perversa manipolazione falsificatrice alle depravazioni di potere del cosiddetto socialismo reale. Ma i "comunisti senza mai dimenticare la tenerezza e la grazia" come Ivan non hanno mai ceduto, non hanno abbandonato il campo e men che meno si sono venduti. Amarezze, delusioni, disincanti e stanchezze le hanno messe in conto e le hanno incassate da formidabili incassatori. Peccato! Davvero peccato che Ivan non sia qui oggi, oggi che con il nuovo sindaco e la nuova giunta, dopo quasi un ventennio di degrado e di devastazioni, il cammino della città possibile può ricominciare sul serio. Forse il sindaco e gli assessori della Milano odierna lessero gli scritti che compongono questo volume ai tempi in cui furono pubblicati sull'Unità, ma sarebbe ugualmente bene che qualcuno provvedesse a donare loro le primissime copie stampate perché si ispirino nell'arduo compito di governare la nostra città al magistero del grande Ivan, Ivan il comunista, Ivan il possibile.

Moni Ovadia

 

   
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