Il genio ebraico e il genius loci

Marc Chagall racchiude in sé e nella propria arte un incontro alchemico fra il genio puro, il genio ebraico e il genius loci delle grandi Russie. Questo sconvolgente incontro non appartiene solo all’esperienza artistica, ma è in essa che si esprime nella sua dimensione più lancinante e necessaria. Mi sono per anni interrogato sua una questione affascinante quanto perturbante. La sintesi magica di spiritualità vertiginosa, sublime umorismo, pietas, umanità fragile dei propri difetti, pulsante di vita materica ed estatica che costituiva lo ostjudentum, (l’ebraismo centro orientale della yiddishkeit) poteva nascere in un luogo diverso dall’impero zarista e dei suoi dintorni? L’incontro-scontro con le profondità mistiche delle terre slave, con i suoi paesaggi lirici e tragici, con le sue musiche struggenti e vorticose  quale ruolo ha giocato nella formazione del carattere unico e sconvolgente di quell’ebraismo? L’ingenuità superstiziosa del muzhik, servo della gleba, le sue remote tradizioni, le sue espressioni iconiche più naive dai colori spanti, che impronta hanno lasciato sugli ebrei volanti in bilico sui tetti dei loro shtetl? L’irriducibile antisemitismo dai tratti selvaggi e barbarici vellicato da una parte del clero ortodosso ed assunto come metodo di governo dal sistema zarista, dai cosacchi e da altri, come ha influito sul misticismo chassidico e come ha segnato le vocazioni dell’intellighenzia ebraica, del suo istinto innovatore e rivoluzionario? La risposta che ho finito con il darmi è che fra le due realtà quella allogena ebraica e quella autoctona russo-slava c’è stata un’attrazione fatale e Marc Chagall ne è una delle espressioni è più compiute e sconvolgenti. Senza il genius loci russo-slavo Chagall sarebbe stato ugualmente un genio, ma non quel genio. Di primo acchito anche solo sentendo pronunciare il suo misterioso nome noi, con l’istintualità del cane di Pavlov, pensiamo al violinista rosa, al rabbino verde, ai fidanzati che si librano fra cielo e terra, al vecchio ebreo accecato che fugge dal pogrom con la sua casa in spalla, all’ebreo in esilio dalla barba superfluente che imbocca una strada invisibile tracciata sopra i tetti delle povere case ebraiche; ma basta volgere il capo verso le “illustrazioni” disegnate dallo stesso Chagall per le “Anime Morte” di Gogol’ per capire quanto l’immenso artista di Vitebsk appartenga tanto alla più profonda anima ebraica della yiddishkeit, quanto simultaneamente alla popolare anima russa nella sua espressione più leggera e disincantata, quella colta dall’ironia unica e irragiungibile del grande Gogol’. Le “illustrazioni” per le anime morte eseguite da Chagall sono così gogoliane che paiono uscite per auto gemmazione dalla leggerezza acuminata delle parole dello scrittore, sì che  siamo tentati a cominciare a rileggere Gogol’ a partire da Chagall, il quale  si rivela anche artista gogoliano. Così come con un po’ di arbitrio siamo legittimati a pensare che a Gogol’, potendo viaggiare nel tempo, non sarebbe dispiaciuto scoprire in sé un imprevisto coté di scrittore chagalliano.

Moni Ovadia




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