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Yiddish tango

Una delle più belle canzoni yiddish che mi sia capitato di ascoltare si intitola :

Yiddish tango”. Dopo averla ascoltata l’ho scelta come uno dei motivi da inserire nello spettacolo scritto a quattro mani con Roberto Andò. Lo cantava accompagnata dalla TeaterOrchestra la meravigliosa Lee Colbert che ha tutti i quarti di nobiltà per interpretare questo genere di canzoni, essendo un’ebrea Argentina di Buenos Aires con origini russo-polacche. Il testo di questo tango non parla di amori perduti, è speciale ed è, come ha da essere, forte ed appassionato.

Suonatemi un tango

Che sia razionalista o mistico,

Ma che possa capirlo anche la nonna

Suonatelo con ardore.

 

Rit. Suonate musicisti  suonate

Come lo può solo un cuore ebraico

Suonate la danza suonatela

Con anima e sentimento

Suonatemi un tango

Un tango della mia gente dispersa

Che possano capirlo anche i bambini

Suonate questa danza con ardore

 

Rit. Suonate musicisti…

Suonatemi un tango ebraico

Che non sia né ariano né barbarico

Che il nemico veda che posso ancora danzare

Che posso danzare con ardore.

 

Ma che cosa c’è di così strano in un tango yiddish? Il repertorio della canzone in lingua yiddish contiene un grande numero di tanghi. Una cultura diasporica e perseguitata non poteva essere insensibile al fascino del  “pensiero triste in forma di danza e canto”, all’energia sottoproletaria e meticcia che aveva generato il mistero del tango. Eppure il rapporto fra ebrei e tango non è casuale né occasionale e tanto meno generico. Le mille vie dell’esilio degli ebrei li hanno portati a contatto con variegate culture e nella maggioranza dei casi essi hanno dato con generosità un contributo talora decisivo, ma sempre e comunque saliente a ciascuna delle culture incontrate. Il libro di Furio Biagini, importante, bello ed avvincente ci racconta la storia presso che sconosciuta di una fatale attrazione fra gli esuli della yiddishkeit est-europea  e dell’ebraismo sefardita ed una danza-musica-canto che ancora oggi sa turbarci ed emozionarci. In quanto uomo di teatro che vive del patrimonio culturale, etico e spirituale dell’ebraismo diasporico questo libro raddoppia il debito che ho verso l’autore il quale già  con il suo “Nati Altrove” aveva aperto un finestra di luce sul rapporto fra ebraismo e pensiero rivoluzionario, in particolare quello anarchico di cui nel nostro paese, lamentevolmente non si sa quasi nulla neppure negli ambiti culturali della sinistra. Questa volta Furio Biagini ci conduce con la forza di un racconto appassionante nella vicenda dell’emigrazione ebraica in Argentina. Ne indaga tutti gli aspetti e le difficoltà, le glorie e le nefandezza con l’attitudine simpatetica di chi  per vocazione e scelta risuona con la condizione degli emarginati e degli esuli. Scopriamo così l’importante influenza ebraica sul tango e sul lumfardo, l’argot portegno, il gergo che da alle liriche il sapore unico che promana dal genio delle parlate basse uscite direttamente dall’interiorità di una vita difficile. Non è certo compito di una modesta prefazione dare un giudizio su un libro, ma mi sento di suggerire al lettore per caso che incappi in queste poche righe di non esitare, di portarsi a casa questo volume e di leggerlo per diventare più ricco di conoscenze e di emozioni.

Moni Ovadia


 



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