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Un ritratto fra gli altri

Le ore notturne sono propizie per chi fatica a prendere sonno o per chi non vuole cedere quel tempo a Morfeo. E’ il tempo dei vecchi film in bianco e nero, quando sei fortunato passano in qualche tv privata o satellitare un film con Marlene Dietrich o un documentario sulla sua vita. Ho sempre amato la Dietrich come diva, ma la mia passione per lei è scoppiata quando ho saputo della sua reazione all’ascesa del nazismo. Lei, figlia di un alto ufficiale prussiano, arianissima e biondissima, lei che sarebbe stata l’icona perfetta del delirio razzista dei dottor Gobbels, se ne andò sdegnata dalla Germania disgustata dal nazismo, per emigrare a Hollywood e vivere in mezzo ad ebrei e transfughi. Non solo, ma con estrema coerenza accettò di essere agente dei servizi segreti statunitensi e fu contatto dei maquis francesi. Quando alla fine della seconda guerra mondiale tornò in Germania per un recital, qualcuno fra pubblico la fischiò come traditrice lei reagì cantando tutta la sera in inglese. Se avessi una di quelle case borghesi ordinate, piena di bei mobili uno dei quali carico delle fotografie di tutta la mia genealogia e di quella di mia moglie, terrei la foto di Marlene in una appropriata cornice d’argento come si fa per una parente speciale ed amata. Vicino a lei terrei i ritratti di alcuni “congiunti” della linea tedesca della mia “famiglia” e ai visitatori della mia casa e spiegherei  le ragioni di quelle singolari presenze nella casa di un ebreo. Direi questa è Maria Khale con il marito e i figli se ne parla in un bel libro di Paola Rosà su Willy Graf  e la Rosa Bianca:

 

All’indomani del pogrom della «notte dei cristalli», detta così per l’altissimo numero di vetrine infrante, il 10 novembre, la città di Bonn si sveglia tra il fumo delle due sinagoghe: alle undici di mattina bruciano ancora il tempio sul Reno e quello all’angolo della Bennauerstrasse nel quartiere di Poppelsdorf a poche decine di metri da dove abita Willi, mentre ancora si saccheggiano i negozi distrutti nella notte. C’è paura, sorpresa, ma anche compiacimento da parte dei bravi cittadini «ariani». I pompieri non riescono a spegnere gli incendi perché gli agenti delle SS si affannano con le taniche di benzina e qualche passante aiuta a rompere le vetrate in modo che le fiamme prendano più ossigeno. Nella Kaiserstrasse invece la signora Marie Kahle e il figlio Wilhelm danno una mano alla vicina a rimettere tutto a posto: ad Emilie Goldstein hanno devastato il negozio di corsetteria, ci sono cocci da spazzare, scaffali da ripulire, stoffe da riordinare. Il lavoro dura un paio di giorni e quando un poliziotto fa rapporto, la vicenda finisce sui giornali: «Questo è tradimento del popolo – titola il 17 novembre il Westdeutscher Beobachter – la signora Kahle e suo figlio hanno aiutato l’ebrea Goldstein». Per la famiglia Kahle la vita diventa impossibile, il marito Paul, docente al seminario di studi orientali, viene licenziato, Wilhelm è cacciato dall’università e i Kahle devono lasciare la Germania con i loro cinque figli.”


Paola Rosà ha raccolto aneddoti, notizie e parole di diversi membri del lato tedesco della mia “famiglia” come quelle dello scrittore prussiano Wiechert:

«Può succedere che un popolo smetta di distinguere la giustizia dall’ingiustizia e che ogni sua battaglia sia sempre e solo “giusta”, ma in tal modo questo popolo si mette su un pendio sempre più ripido e la legge del suo declino è già scritta. Può anche essere che un popolo smetta di distinguere il bene dal male – dice Wiechert nel 1935, sapendo che queste parole gli sarebbero costate l’esclusione dalle istituzioni accademiche – Ma se due anni fa vi ho implorati di restare umili, adesso vi prego e vi scongiuro di non lasciarvi sedurre: vi vogliono far vedere solo splendore e fortuna dove invece si nasconde così tanto dolore. Vi scongiuro, non entrate a far parte della schiera delle migliaia e migliaia di quelli di cui si dice che hanno “paura del mondo”. Perché nulla e niente al mondo intacca la pasta di un uomo quanto la vigliaccheria».


Paola nel suo libro ha riferito il comportamento di un “cugino” funzionario della polizia: “In dicembre la polizia di Berlino diffonde l’elenco delle strade, delle piazze e degli edifici «vietati ai giudei», dalle stazioni ferroviarie alle piscine al palazzetto dello sport. A migliaia riescono a fuggire in Svizzera soltanto grazie alla complicità di Paul Grüninger, un funzionario di polizia che poi sarà radiato.”

Ha raccolto la dolorsa e definitiva dichiarazione di un “prozio” ufficiale : “il general maggiore Helmuth Stieff, uno dei militari che cinque anni dopo sarà coinvolto nel complotto del 20 luglio per uccidere Hitler, scrive alla moglie il 21 novembre di quel primo anno di guerra: «La fantasia più fervida non riuscirebbe ad immaginare quello che una banda organizzata di assassini, ladri e predatori sta commettendo senza che nessuno dica niente. Ormai non si può più parlare di giustificata reazione ai crimini subiti dai madrelingua tedeschi. Questo sterminio di un’intera stirpe, di donne e bambini, può essere solo l’opera di una sottospecie umana che non merita più il nome di tedeschi. Mi vergogno di essere tedesco!»”.

 

riferisce l’omelia di un “congiunto” religioso:” Per il Corpus Domini, il 26 maggio, il padre francescano Elpidius Josef Markötter predica dal pulpito della chiesa di Warendorf, a pochi chilometri da Münster: «Dobbiamo amare tutti gli uomini, anche gli ebrei e i polacchi che la Germania di oggi considera subumani in balia dell’arbitrio dei singoli». Un funzionario lo denuncia, qualche giorno dopo lo arrestano e il tribunale speciale di Dortmund lo condanna a tre mesi di reclusione. Ma il francescano non verrà più rilasciato, dalla custodia cautelare a Münster lo porteranno a Sachsenhausen, il campo di sterminio nei pressi di Berlino e di lì a Dachau, il campo alla periferia di Monaco, dove morirà il 28 giugno del 1942, ufficialmente per debilitazione fisica e dolori di stomaco.

E la dichiarazione di un lontano parente militante politico: “Il 10 febbraio ad Anversa gli agenti tedeschi avevano fermato l’ex membro del Quickborn e del partito cristiano-sociale Theo Hespers, da dieci anni in esilio. «Il nazionalsocialismo non ha eliminato l’ordine capitalistico – aveva scritto Hespers – ha sprecato parole sul popolo e la comunità, contro la massa e il materialismo, ma in realtà ha continuato a praticare la massificazione, lo sfruttamento, l’industrializzazione e il centralismo». Parole che gli costeranno la tortura, un processo e la condanna a morte: lo impiccano a Berlino insieme ad altre 200 persone il 9 settembre del 1943. Il cadavere viene bruciato, le ceneri sparse al vento, «per non creare martiri», dirà un funzionario della Gestapo.

Nella mia galleria fotografica tedesca brillerebbero con una luce speciale le foto di tre giovani Marie e Hans Scholl e Willy Graf, tre giovani cattolici membri della “Rosa Bianca” che subirono l’estremo martirio della ghigliottina per avere voluto svegliare la coscienza del popolo tedesco con i loro volantini che appenderei incorniciati dietro al mobile delle foto.

«Non c’è nulla di più indegno per un popolo civile che farsi “governare” senza opporre resistenza da una banda di irresponsabili in preda a torbidi istinti. Non è forse vero che ogni tedesco onesto si vergogna di questo governo? Ma chi di noi intuisce le dimensioni dell’infamia che cadrà su di noi e sui nostri figli una volta che si alzerà il velo che ci copre gli occhi e verranno alla luce i crimini più orribili, infinitamente oltre ogni misura?».

«Se tutti aspettano che siano gli altri a cominciare – scrivono Scholl e Schmorell già nel primo volantino della Rosa Bianca – anche l’ultima vittima sarà stata gettata inutilmente nelle fauci del demone insaziabile. Ogni singolo invece, consapevole della propria responsabilità di esponente della cultura cristiana e occidentale, deve opporsi in quest’ultima ora per quanto gli è possibile, deve impegnarsi contro il flagello dell’umanità, contro il fascismo e contro ogni analogo sistema di assolutismo». “vediamo come reagisce questa «massa di vigliacchi senz’anima», vogliamo vedere se il popolo tedesco non sia veramente diventato «una mandria superficiale e passiva di complici che si sono lasciati succhiare il midollo e rubare la propria essenza di uomini, un gregge pronto a farsi trascinare nel baratro».

Mi sono scelto come “familiari” acquisiti queste donne questi uomini tedeschi raccontati da Paola Rosà perché scelsero, ciascuno di essi nei limiti della propria bildung e dello sviluppo della propria vita, di risuonare  con i perseguitati e a modo loro ne condivisero il destino.

Ma Paola Rosà ha soprattutto scritto una appassionata e profonda biografia di Willy Graf, un giovane cattolico tedesco, anti nazista per vocazione umana e cristiana, lontano dalla vile ipocrisia della borghesia cattolica, dalle prudenze colpevoli della gran parte delle gerarchie vaticane ed in particolare del pontefice Pio XII che non volle esprimere una netta condanna dello sterminio di innocenti adducendo giustificazioni che ad essere generosi ed eufemistici possiamo definire di dubbia legittimità. Willy Graf fu un giovane intellettuale del suo tempo sorretto dalla fede, innamorato della vita ma capace di compiere un percorso di pensiero complesso e travagliato per giungere poi alla scelta di un magistero di resistenza radicale senza tentennamenti come conquista di una coscienza interiore ferma e limpida. Il suo sacrificio come quello di Marie e Hans Scholl e degli altri militanti della Rosa Bianca, il loro sacrificio di giovani consapevoli della loro responsabilità merita di essere tramandato per il suo valore intrinseco ma anche perché questo tipo di esseri umani redimono un popolo intero ed il suo destino. E’ grazie ai Graf, ai Scholl, alle Dietrich, ai Brandt che la Germania è tornata oggi alla dignità di una delle nazioni più civili e democratiche della nostra Europa.

Moni Ovadia


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