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Il magistero di Irena Sendler

Il celebrativismo è uno dei grandi rischi del nostro tempo. C’è già chi ne ha fatto una professione. Dietro la ridondanza delle celebrazioni mi pare celarsi sempre più il narcisismo della falsa coscienza. Perché il libro dedicato ad Irena Sendler “giusta fra le genti”, una polacca cattolica che ha salvato 2500 bimbi e numerosi adulti ebrei destinati allo sterminio mi ha suggerito un incipit così amaro e “scorretto”. Perché la Sendler è stata a lungo dimenticata per ragioni ideologiche. Lei, donna di sinistra non è stata riconosciuta dalle istituzioni sedicenti socialiste del suo paese perché troppo democratica ed indipendente per essere omologata, troppo “amica degli ebrei” per non essere scomoda in un paese in cui vasti strati della popolazione hanno continuato a lungo a nutrirsi di una cultura antisemita anche dopo lo sterminio nazista, persino in assenza di ebrei. La Polonia “socialista” ha conosciuto nel 1968, l’ultima persecuzione antisemita dell’Occidente. Dopo che tre milioni di ebrei Polacchi erano passati per i camini, il governo di Gomulka costrinse 343.000 cittadini ebrei a lasciare il paese con 30 kg. di bagaglio a persona e la comunità ebraica di Polonia, la più luminosa e spirituale di tutta la Diaspora fu pressochè ridotta all’estinzione. Rimasero nel paese 7000 ebrei per lo più vecchi e male in arnese. Dopo questa vergogna ci si sarebbe aspettati un’indagine approfondita di quelle tragiche vicende per portarle a conoscenza critica di ogni cittadino, soprattutto per la formazione delle giovani generazioni, evidentemente non è stato così se la venuta alla piena luce del caso Sendler è dovuta principalmente al lavoro straordinario ed  appassionato di un piccolo gruppo di studenti del Kansas.

Le autorità e i media, fatte salve le lodevoli eccezioni, si serviranno della magnifica passione dei giovani studenti e dei loro insegnanti che credono nell’essere umano, per i loro esercizi di mestiere e di vanità. Ma in fondo è ovvio che sia così. Perché mai i poteri del nostro tempo dediti all’uso strumentale della cultura e dello spirito di solidarietà dovrebbero avere un interesse autentico nei sentimenti umani più nobili? L’immenso magistero di Irena Sendler nasce dall’interiorizzazione più profonda del comandamento più celebre e più pervertito di tutte le scritture: ”amerai il prossimo tuo come te stesso!” inequivocamente espresso dal Levitico , ribadito dallo stesso Levitico poco più oltre nella sua formulazione  più radicale:” amerai lo straniero come te stesso!” e portato dall’ebreo Gesù verso il suo esito più perturbante ed utopico: ”porgi l’altra guancia”. Dunque il nostro prossimo deve essere amato in quanto tale, non perché connazionale, concittadino, non perché della stessa etnia, o dello stesso genere. Irena è stata allevata nel contesto familiare dove ha luogo l’educazione più intima e urgente a non distinguere gli esseri umani sulla base del pregiudizio, ma solo sulla base del comportamento. Questo valore fondante in lei è coniugato con la naturale consapevolezza del senso della vita, l’unico possibile: riconoscere l’essenza più pregnante di se stessi nell’altro e pertanto sentire l’imperativo categorico di essere solidali con lui a partire dal rispetto della sua alterità, della sua dignità per finire con il mettersi a disposizione della sua salvezza senza badare alle più pericolose conseguenze della propria totale dedizione. Fuori da questo orizzonte c’è l’insensatezza e il regresso all’infame logica dell’arbitrio e del privilegio. Noi abbiamo oggi più che mai bisogno di capire quale è la lezione di Irene Sendler. Lei si dedicata con tutta se stessa al “altro” che per secoli era stato criminalizzato con inaudita ferocia di pensiero e di atti, quell’ebreo che in Occidente molti e non solo i nazisti volevano cancellare senza pietà, al punto da avere perduto nei suoi confronti il più elementare sentimento di umanità: l’istinto a proteggere i piccoli, e i vecchi, a riconoscere

lo strazio delle madri nel momento di  doversi separare dalle loro creature per salvarli dall’atroce destino che conobbero oltre un milione di piccini ebrei, e decine di migliaia di rom. Irena lo riconobbe così profondamente che trovò naturale subire la tortura, accettare l’invalidità e rischiare la propria vita. Io che devo la mia nascita al popolo bulgaro, un piccolo popolo di cristiani che seppe opporsi alla brutalità nazista per salvare i suoi ebrei, tengo sempre nella mente

e nel cuore due “giusti fra i popoli”: il vice presidente del parlamento bulgaro Peshev e il metropolita  Stefan. Stefan  abbigliato nei paramenti sacri con totale disprezzo del pericolo, vox clamans coram populo, sul sagrato della cattedrale Alexander Nevskji di Sofia, pronunciò un durissimo anatema contro i nazisti davanti a 150000 persone intimando loro di non osare alzare la mano sugli ebrei. Questo segno inciso nella mia nascita, nella salvezza dei miei genitori e di mio fratello, allora un bimbo di quattro anni, mi fa sentire la cattolica  Irena Sendler come una persona di famiglia e vorrei adottarla per portarla con me nel futuro per il tempo che mi è assegnato in questo mondo. E di una cosa sono certo: noi possiamo saldare il nostro debito con Irena Sendler solo compotandoci come lei, impegnandoci nella solidarietà con l’”ebreo” di sempre. Oggi si chiama rom, sinti, mussulmano, africano, migrante, donna, bambino violato, omosessuale, cattolico di minoranza laddove è  perseguitato e messo a morte. La lettura del libro dedicato ad Irena è un privilegio per chi crede nel valore irrinunciabile dell’amore e ci chiama ad opporci con tutte le nostre forze ad ogni abuso e ad ogni discriminazione commessa da chiunque  sotto ogni cielo, anche se accade nel nostro paese quando lasciamo varare leggi sciagurate e vessatorie e volgiamo il capo altrove di fronte a violenze come la riduzione in schiavitù di esseri umani indifesi.

Moni Ovadia

 

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