Le due piazze
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  Giovedì 29 novembre 2012 è stata e rimarrà una data memorabile nel bene (lo speriamo con tutte le nostre forze) o nel male (lo deprechiamo con tutto il cuore). Gli uomini che credono nella pace, nella giustizia e nell'eguaglianza, hanno visto sorgere il primo lucore di un'alba che era attesa da lunghissimo tempo. Il popolo palestinese ha finalmente scorto la luce in fondo al tunnel oscuro in cui era confinato da 45 anni. L'Assemblea dell'Onu, a grandissima maggioranza, ha accolto nel proprio seno come membro osservatore, la Palestina. È solo un inizio ma ha un grandissimo significato. Le piazze della Cisgiordania e di Gaza si sono riempite di folla tripudiante. L'uomo che ottenuto questa luminosa vittoria per il suo popolo, il paziente Abu Mazen, ha ricevuto gli abbracci calorosi di una folla di rappresentanti delle Nazioni Unite. La sua tenacia ha avuto ragione, non si è fatto intimidire e ha incassato con determinazione, tutte le false promesse di trattativa, tutte le azioni miranti a delegittimarlo, non ha ceduto alla frustrazione, non ha aperto le porte alla tentazione della violenza e ce l'ha fatta. Anche Hamas, bon gré mal gré, sarà costretta a riconoscerlo. Le piazze palestinesi festanti, hanno rievocato simbolicamente, le piazze ricolme di ebrei "palestinesi" pervase dalla gioia che ascoltarono la proclamazione dello Stato d'Israele votata a maggioranza dall'Assemblea delle Nazioni Unite nel 1948. Per la popolazione ebraica di allora, uscita dalla Shoà, fu il coronamento di un sogno. Per i Palestinesi fu l'inizio della Nakhba, la catastrofe, la perdita di terre e case che, nel '67, dopo la Guerra dei Sei Giorni, avrebbe conosciuto la seconda interminabile fase che perdura ancora oggi. Ieri, questa profonda lacerazione ha visto la possibilità di essere sanata. Grandi assenti a questa giornata di festa: i governanti israeliani e il Presidente degli Usa Barack Obama, incastrati in una miope solidarietà risentita senza orizzonte e senza futuro. Nethanyahu e Obama fingono di non sapere che la trattativa è possibile solo fra interlocutori di pari dignità. Nel mio piccolo ho parteggiato con tutte le energie per questa prospettiva, senza risparmiare le critiche più aspre ai governi israeliani della colonizzazione e dell'occupazione e senza il minimo sconto. Per questa ragione, proprio oggi mi sento di dire che chi si serve di stereotipi antisemiti con la pretesa di esprimere solidarietà ai palestinesi, mente. L'antisemitismo è stata una delle peggiori pestilenze che abbia attraversato l'umanità nel suo cammino, si nutre dell'humus dell'odio e del razzismo, è un pensiero criminoso che colpisce gli ebrei ma che prepara anche la catastrofe per tutti gli uomini che credono nella fratellanza, nella libertà e nella pari dignità di tutti gli esseri umani. Chi cerca di giustificarlo con l'esistenza di Israele, dimentica capziosamente che l'antisemitismo si è manifestato, nella sua forma più virulenta e genocida, quando gli ebrei non avevano terra e neppure aspiravano ad una terra nella forma di nazione moderna. Lo ripeto, le critiche alle azioni dei governanti israeliani messe in atto contro la popolazione civile palestinese, anche le più dure e provocatorie, sono del tutto lecite e condivisibili quando suffragate da fatti e da prove ma i complottismi modello "Protocolli dei Savi di Sion" in riedizione "antisionista" - comprese le identificazioni fra governo, Stato e popolo israeliano - non sono altro che la versione antiisraeliana dell'antisemitismo. In Israele non vivono solo truppe militari Droni e gli elicotteri Apache, ma donne, uomini, bambini, vecchi, giovani, madri, figli, fratelli, sorelle come in Palestina pur nella drammatica differenza delle condizioni esistenziali. Ma di tutto hanno bisogno i palestinesi per trovare giustizia, fuorché degli antisemiti dichiarati o camuffati che siano.

 

Moni Ovadia - L'Unità  -  1°/12/2012

 

 

 

 

   
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