E la chiamano democrazia
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  Nell'agosto del 1968 gli eserciti del Patto di Varsavia, invasero la Cecoslovacchia, schiacciando il sogno del socialismo dal volto umano promosso dal segretario del partito comunista di Alexander Dub_ek e misero fine alla primavera di Praga. Lo studente Jan Palach, per protestare contro l'invasione e la brutale repressione della libertà del suo popolo, si cosparse di benzina e si dette fuoco in piazza San Venceslao sulla gradinata dell'Università della Capitale. Quel gesto fu un lucido atto consapevole contro la tirannia, ispirato, come lo stesso Palach ebbe a dire nei tre giorni della sua agonia prima di spegnersi, al martirio dei monaci buddisti contro il crudele regime sud Vietnamita del dittatore Diem. Jan Palach fu un eroe ma, come sempre accade, sul suo corpo martoriato si esercitò, per scopi strumentali di propaganda, tutta la retorica occidentale della sedicente democrazia. Ieri un lavoratore rumeno, rimasto senza lavoro e senza sostentamento per la propria famiglia si è dato fuoco davanti al Quirinale riducendosi in fin di vita. Cosa diremo di lui? Che è uno squilibrato? Che era esaurito? Non è anche lui a suo modo un martire, vittima di un regime che continuiamo ipocritamente a chiamare democrazia? Possiamo chiamare democrazia un sistema politico che si accanisce contro i più deboli e gli ultimi, che porta alla disperazione i suoi cittadini lavoratori, i suoi studenti, che precarizza i giovani che entrano nel tempo produttivo e rende obsoleti donne e uomini nel pieno della loro maturità, mentre consente sconci privilegi di casta e di censo? Possiamo parlare di libertà in un paese che fa scempio sistematico della sua legge fondativa solo perché ciclicamente si ripete, sempre più spento e svuotato di senso, un rito elettorale che manda a governare il paese una sorta di mandarinato, di potere sottratto al controllo dei cittadini in un quadro di leggi artatamente costruite perché i politici capaci e galantuomini siano costretti all'impotenza? Dove sono finiti i valori costitutivi dell'Italia repubblicana?

 

Art 2.

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Art. 4

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Se questi diritti vengono calpestati non c'è vera democrazia.

Moni Ovadia - L'Unità  -  20/10/2012

 

 

 

 

   
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