La storia non siamo più noi
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La notizia dell'annunciata chiusura della trasmissione "La Storia siamo noi" condotta da Giovanni Minoli, personalmente mi ha colto come un violento ceffone inatteso assestato in pieno viso. La scelta di affondare un programma leggendario per qualità e per l'indiscusso valore del suo ideatore e conduttore - verosimilmente uno dei migliori uomini televisione al mondo, se per televisione si intende informazione, cultura, formazione, qualità e non spazzatura - non può essere dettata da logiche aziendali.
Solo un orientamento ideologico nefasto, può indurre un'azienda di servizio pubblico a rinunciare al meglio di cui dispone. E si deve evidentemente trattare di deliberata strategia della dealfabetizzazione del telespettatore, visto che il killeraggio di Minoli, segue a brevissima distanza, quello di Philippe Daverio e del suo brillante e originale "Passepartout" che si segnalava per il suo carattere colto e insieme ricco di intelligenza umoristica. Queste epurazioni, perché di questo si tratta, rivelano il sinistro clima da normalizzazione di quest'epoca. Forse Minoli non è un adepto della mainstream revisionista che si vuole imporre alla Rai. Forse non è abbastanza conformista. Questi tempi cominciano a diventare davvero inquietanti, lo segnala da diverse settimane l'irruzione nell'etere di un vocabolario evocatore di nefaste memorie. Il termine "pacificazione", davvero sconcertante per la sua totale inattualità, ricorda il famigerato appeasement che non portò all'Europa la pace come millantavano i paladini di quella politica, al contrario, con la sua ossessione dilatoria, rese la II Guerra Mondiale, molto più devastante. Un altro squallido neologismo, l'attributo "divisivo", fa risuonare la lingua della retorica nazionalista e totalitaria che partorì la micidiale parola "disfattista". Una vera democrazia non ha bisogno di servirsi di un linguaggio che non le appartiene, che ne contraddice il senso. Se lo fa, rinuncia alle proprie specificità nell'esprimersi e nel pensarsi. L'epurazione degli spazi di pensiero e di qualità culturale nel principale mezzo a cui i cittadini si rivolgono per informarsi e per formare le proprie opinioni, è grave e pericoloso. Lo è in generale, ma specialmente in anni come questi in cui si è assistito ad un progressivo decadimento del livello della cultura e della istruzione nel nostro Paese. Una nazione non può rinascere da qualche palliativo economico, né dal fingere una concordia artificiosa che nasconda sotto il tappeto le contraddizioni reali e le diverse visioni della politica, per favorire puri accodi di potere. Un cittadino democratico lo sa: o la Storia siamo noi o, se lo dimentichiamo, "loro" ci cacciano dalla Storia e da noi stessi.

 

Moni Ovadia L'Unità - Voce d'Autore del 18/05/2013

 

 

   
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