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Cantata greca - Author's notes

Il poeta francese Louis Aragon, quando lesse il poema Epitaffios di Ritsos – un poema in forma di mirologio, lamento straziato e lirico di una madre sul corpo del figlio adolescente assassinato dalla polizia del tiranno Fascista Metaxas nel 1936 – ne rimase così impressionato che dichiarò: Ritsos è il più grande poeta del suo tempo. Una simile affermazione apodittica non pretende di rivelare una verità, ma erompe da un flusso di emozioni che evidentemente non sorge solo da una valutazione estetica ma coglie il senso profondo e dirompente di una personalità artistica, culturale, umana e politica di eccezionale caratura. In questo senso la perentoria affermazione di Aragon è assolutamente condivisibile.
I poemi che compongono i due tempi della nostra performance Grecità appartengono alla raccolta τ?ταρτη δι?σταση (tetarti diastasi), Quarta dimensione, sono Δ?λφι (Delfi) e Η σον?τα του σελιν?φοτος (La sonata al chiaro di luna). Appartengono alla stagione più matura e più poeticamente compiuta dell'immensa e feconda produzione di Ritsos. I personaggi che il poeta fa parlare e insieme descrive nei loro sentimenti, nelle loro inquietudini e nelle loro fragilità sono un vecchio custode delle rovine di Delfi, sfinito dalla routine del suo lavoro che vede estenuarsi la bellezza di un leggendario passato, le statue e gli edifici, nella banalità consumatrice del mortificante sguardo turistico e una donna di buona famiglia e colta le cui ambizioni e i cui sogni di grandezza sono stati frustrati, che affronta le inesorabili azioni del tempo, le erosioni, il suo riverberarsi su memorie, evocazioni, sugli oggetti, sulle cose che malinconicamente vivono trasformandosi e liricamente contemplano lo sfarinamento delle loro fibre intime. Entrambi i personaggi dei due poemi parlano in presenza di un interlocutore muto ed è proprio questo interlocutore muto il tratto comune dei due poemi. Questa figura, che non parla e sembra ascoltare, è giovane, sfrontato, appartiene a un futuro indifferente ai sentimenti e ai pensieri dei due protagonisti e rende lancinante la mancata comunicazione monologante dei protagonisti. I due poemi vengono assunti in una dimensione teatrale attraverso la musica.
Delfi si fa opera musicale grazie alla composizione di un grande Piero Milesi che elabora topos e frammenti musicali della tradizione greca in una poderosa ed efficacissima scrittura minimalista con la voce e la parola che si fanno strumento anche per mezzo del doppio registro linguistico di italiano e neo ellenico.
La sonata al chiaro di luna è intessuta nelle note del primo movimento della sonata omonima di Beethoven, la musicalità del verso e della parola si nutrono del ritmo della celebre composizione pianistica anche in questo contesto in una relazione di torsione emozionale con il doppio registro linguistico di italiano e neo ellenico.
Entrambi i monologhi vivono nel contesto di una partitura di immagini, di suoni e di parole che conducono per mano lo spettatore nella scrittura poetica e nella sua musicalità. Ma mentre la prima parte Delfi vede in scena la sola presenza di un dicitore-cantore, Moni Ovadia, che incarna il vecchio custode delle rovine, la seconda parte, La sonata al chiaro di luna, si caratterizza per la presenza di tre interpreti, il poeta, Moni Ovadia, che recita il proprio poema, il pianista Vincenzo Pasquariello che esegue a mo' di vexation la prima parte della celebre sonata di Beethoven e l'anziana signora, Ornella Balestra, che interpreta i propri stati d'animo con una coreografia della lentezza che si esprime con perturbante magnetismo e icasticità.

Moni Ovadia

   
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