Irini, Essalem, Shalom - Rassegna stampa

 

Orchestra Verdi, un inno alla pace con Moni Ovadia

di Gian Mario Benzing

Corriere della Sera - 11 settembre 2004

 

Un inno di pace si leva dall’ Orchestra «Verdi», in un doppio appuntamento, questa sera e domani, all’ Auditorium di largo Mahler. Note di speranza, non solo di commemorazione. Il pianto per le vittime di New York, come per quelle di Beslan, alle quali la replica è dedicata, si apre a un potente messaggio di umanità e di fratellanza. Accanto al Requiem op. 48 di Gabriel Fauré, preghiera celestiale che, senza il terrore del «Dies irae», contempla la morte come ascesa e consolazione, ecco in prima assoluta una novità di Fabio Vacchi, «Irini, Esselam, Shalom»: la parola «pace» detta in greco, in arabo e in ebraico. Su questa musica, Moni Ovadia, in dialogo con il violino di Pavel Vernikov, reciterà toccanti versetti, da lui stesso selezionati a partire dai libri sacri delle tre grandi religioni monoteiste, cristiana, islamica ed ebraica. Tre lingue, tre fedi diverse, convergenti sui valori più alti: «Questi testi dicono le stesse cose con lo stesso stile», dichiara commosso il maestro Vacchi. «Beati quelli che si adoperano per la pace, perché saranno chiamati figli di Dio», dirà Ovadia citando San Matteo. «L’ uomo è stato creato per portare la pace fra la gente», ripeterà con le parole del Talmud. Come pure: «Il mondo si regge su tre pilastri, sulla giustizia e sulla verità e sulla pace, e le tre cose sono una sola, perché quando si fa giustizia si fa verità e quando si fa verità si fa pace». E poi, dal Corano: «Per ogni uomo, tu desidera le cose che desideri per te», principio assolutamente evangelico... Anche la musica di Vacchi tende all’ unità: «I versetti vengono recitati ognuno nella sua lingua originale - prosegue il maestro - ma la mia musica li inserisce in un flusso compatto e coerente. In una fusione di intenti, non liturgica, ma spirituale: un’ interiore aderenza allo spirito di questi testi. Senza facili spunti folclorici, yiddish o arabizzanti: la mia musica cerca di unificare questi versetti nello stesso modo in cui sono unificati nel contenuto e nello stile. I frammenti, poi, sono mescolati tra loro, come in un testo unico, senza fratture». Ai versetti recitati, Ovadia farà seguire un antico canto ebraico, «Avinu Malkeinu», un «Padre nostro» quanto mai universale, intonato però con la tipica vocalità sinagogale: «Un canto fatto di singhiozzi, respiri, glissandi, con un pathos intraducibile in grafia musicale - spiega Vacchi -, che qui verrà come avvolto dal tessuto orchestrale, in un meccanismo isoritmico dal risultato visionario, con giochi timbrici del tutto particolari». E il violino solista? «Un elemento di drammaturgia musicale: il violino dialogherà con la voce recitante, secondo un virtuosismo risolto non in brillantezza, ma in figurazioni inquiete, angosciose, interrogative. Il violino è qui la nostra voce. La voce del nostro presente».

 



   

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