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 Ovadia Mancuso
 
 

“La fragilità di Dio”
Contrappunti teologici sul terremoto

 con contributi di Moni Ovadia, Vito Mancuso, Paolo De Benedetti, Gabriella Caramore


"Il divino, nella vulgata del pensiero religioso della cultura occidentale, è stato associato per secoli e secoli ai concetti grevi di onnipotenza, onniscienza e consimili. Questi concetti totalizzanti e totalitari hanno schiacciato la relazione fra l'umano e il divino nel vicolo cieco della fede senza dubbi, della sottomissione acritica, in fondo al quale è sempre in agguato la perversione del fanatismo. I guasti prodotti da queste ideologie acritiche sono troppo noti perché valga la pena di soffermarvisi. Le immani tragedie del secolo breve hanno fatto emergere nel pensiero spirituale e religioso prospettive ermeneutiche ben più fertili nella prospettiva del dubbio e di visioni del divino inedite, vertiginose e contraddittorie. Il filosofo e scrittore Charles Pepin in Une semaine de philosophie afferma:" il solo modo per credere in Dio è di dubitarne".
È dunque lecito affermare che il dubbio sia il presupposto di una fede autentica e non cieca che si mette in cammino verso un'idea fragile del divino. Si tratta di accettare l'alea di una ricerca incessante su un terreno instabile gravido di incertezze. Ricerca responsabile che rinuncia ad afferrare, che si impegna spasmodicamente a scongiurare il pericolo esiziale che il divino venga sospinto nel baratro dell'idolatria. I maestri del Bereshìt Rabbà, commentario talmudico-midrashico al Genesi ci narrano che il Santo Benedetto dubita di se stesso proprio nell'atto di creare. Quei maestri si interrogano su cosa facesse l'Eterno prima di creare questo Mondo e si rispondono:" creava Mondi e li distruggeva e persino quando dopo molteplici tentativi la Creazione fu compiuta, il Santo Benedetto la contemplò, sospirò e pronunciò queste due parole ebraiche: ( purché tenga)".
Come mai ci fu questa perplessità divina? Perché l'atto creativo fu un rischio, un travaglio, come ogni processo generativo non può non essere. Esso per statuto prevede inevitabilmente "errori" e "ripensamenti". Secondo questa narrazione, se Dio è Onnipotente, ha evidentemente scelto di rinunciare alla propria Onnipotenza per fare spazio all'altro da sé, nella sua libertà, nella sua dignità e nella sua capacità di orientare la creazione che è un progetto aperto. E come tutta la Creazione, la creatura prediletta, l'essere umano, a fortiori è stato creato dotato di libertà, con la dignità di interlocutore, capace di trasformare, libero di scegliere il bene e il male e pertanto responsabile davanti al suo simile, davanti a se stesso e all'intero Creato. Tutto ciò sarebbe impensabile senza un Divino che accoglie in sé la fragilità di una ritrosia fino agli estremi confini della non esistenza. Inesistenza ma non indifferenza. Questa contraddizione irresolubile è ben espressa da una sentenza del libro del Talmud "pirkei' avot" (massime dei padri):" per la pace fra marito e moglie, Io ( dice il Santo Benedetto) sono disposto a lasciare che il mio Nome scritto in santità venga disciolto come polvere nell'acqua. Quanto più, Io (dice il Santo Benedetto) sono disposto a lasciare che il mio Nome scritto in santità venga disciolto come polvere nell'acqua per la pace fra gli uomini".
Dunque il Santo Benedetto è disposto a negare la propria identità purché la pace regni fra gli uomini. Questa è a mio parere l'espressione più alta dell'amore divino per l'umanità. Non traggano in inganno le terrificanti minacce che popolano la scrittura biblica rivolte agli ebrei e agli uomini in genere; esse sono a mio parere i disperati appelli rivolti agli esseri umani perché non si affidino alle seduzioni e non si facciano guidare da istinti regressivi, ma siano pienamente responsabili verso il progetto di redenzione dalla schiavitù e dall'idolatria che dona senso alla vita sottraendola alla prigione della soggezione al potere quale che ne sia la forma. Ma in seguito, progressivamente, a misura che la ritrosia si compie, la parola divina si fa silenzio e la sua fragilità viene affidata alla nostra custodia, il suo futuro alla nostra coscienza."

Moni Ovadia

   
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