<< back

 

leydi1

 

Roberto Leydi

(...) Fu Hana Roth a presentarmi Roberto Leydi, incontro fra i più fondanti nella mia vita personale ed artistica.

 

Leydi mi ha insegnato che la passione non può e non deve essere disgiunta dal rigore. Enrico Sassoon ed io sostenemmo una specie di provino proprio a casa di Roberto, che allora abitava in via Morigi. È ancora viva in me l'impressione di quell'appartamento in cui si univano senso della tradizione, cultura alta e "bassa", un'impressionante biblioteca, una discoteca e una nastroteca come non ne ho più riviste. Non so Enrico, ma io ero tremendamente emozionato. Cantai male a causa della secchezza delle fauci prodotta da un eccesso di adrenalina.

 

Con Leydi era presente la moglie Sandra Mantovani, the voice del canto

tradizionale dell'Alta Italia, un mito diffuso dagli altoparlanti di tutte le manifestazioni sindacali od operaie. Malgrado la nostra tremolante prestazione Roberto e Sandra ci capirono e ci presero a far parte del loro gruppo, l'Almanacco popolare. Con questo gruppo incido il mio primo disco, Canti popolari italiani. Un grande evento per me.

A questo punto arriva il '68 e noi giovani cominciamo a scalpitare.

Ci sembrava che Roberto si muovesse in una dimensione troppo colta, mentre noi avevamo voglia di menar le mani, nel senso di andare a cantare nelle strade. Tirava quell'aria. Allora rompemmo con Leydi. Fu una grande fesseria, ma in qualche misura era inevitabile.

 

In seguito fondai altri gruppi, come il Gruppo Folk Internazionale: mezzi minimi e grandi ambizioni, molta ingenuità. Eravamo conosciuti soprattutto fra gli studenti, in ambito movimentista. Ci sforzammo di far scoprire l'Est Europa musicale in un modo non retorico. Quella degli anni dell'impegno, fra il '70 e l'80, fu una meravigliosa, impetuosa esperienza. Facevamo una vita on the road, da musicisti militanti, andavamo in giro con furgoni scalcagnati. Però tenevamo alla professionalità, alla serietà della ricerca che facevamo. Non siamo mai stati degli improvvisatori o perlomeno ci siamo sforzati di non esserlo. Questo da Leydi l'avevamo imparato. (...)

 

(testo tratto dal cap. 14 del libro "Speriamo che tenga" - ed. Einaudi)

   

 

 

facebook © 2011 OYLEM GOYLEM ALL RIGHTS RESERVED  |   P.IVA 13071690153   |   cookies policy

By using this site you agree to the placement of cookies on your computer in accordance with the terms of this policy