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L'Ubiquità come via all'universalismo

L'ebreo è stato per secoli e secoli, per quanti ne ha vissuti in esilio, la figura dell'altro per antonomasia. L'alterità ebraica tuttavia non è mai stata integra o assoluta, al contrario si è nutrita di tutte le identità che attraversava nel suo peregrinare volontario sospinto dall'assillo dell'altrove, o imposto da necessità e da violenze. L'ebreo ha assunto parzialmente o integralmente quelle identità sia che lo accoglissero sia che lo respingessero. Le ha assunte a dispetto del furore antisemita di cui è stato fatto oggetto. Il talento più grande che già all'origine del proprio cammino, l'ebreo si è guadagnato imboccando un via ardua ed "insensata" è stata l'ubiquità, nel suo caso non un dono ma una conquista sul campo pagata a carissimo prezzo. Nel corso della bimillenaria diaspora, laddove le condizioni lo hanno permesso, l'ebreo ha talora saputo esprimere il livello più intimo di identità della cultura che lo accoglieva senza rinunciare alla propria identità di ebreo e talora persino ad altre identità acquisite in precedenti "soste". Il grande poeta polacco Julian Tuwim è uno dei casi più clamorosi e sconcertanti di questa condizione ebraica, delle sue contraddizioni e dei suoi lancinanti travagli. Oggi anche il lettore italiano, grazie all'editore Livello 4, ha la preziosa opportunità di accedere alla conoscenza di un poeta che ha saputo esprimere come forse nessun altro nella letteratura europea, il rapporto fra identità nazionale, molteplicità identitaria e universalismo. La questione urgente che sorge a questo crocevia la stiamo affrontando proprio in questi nostri tempi confusi e congestionati di fronte alla globalizzazione. Essa non è più questione specificamente ebraica, ma riguarda l'uomo occidentale e non solo. L'ebreo ha anticipato in sé la condizione ubiqua che viviamo oggi e ha pagato un prezzo tragico a causa della propria "lungimiranza" profetica. Tuttavia proprio l'ebreo può trarre rinnovato ammaestramento da "Noi ebrei polacchi", lo sconvolgente pamphlet poetico di Tuwim, ora che la maggioranza degli ebrei  tende ad avvitarsi su una dimensione nazionale e rischia di perdere il talento dell'ubiquità e dell'universalismo.  Tuwim è stato poeta polacco, insigne e appassionato esponente di punta della polonità, cantore della lingua polacca di cui ha interpretato il vertice delle fibre espressive e musicali come pochissimi altri.

Il suo amore per tutto ciò che è Polonia ha pochi uguali perché ne ha amato visceralmente la lingua e la terra in sé stesso, al di là di cio che è traducibile

in parole e in ragioni coerenti. Ciònonostante, con il pathos di una perorazione

e la forza di un'invettiva, celebra l'ebraismo polacco per la sua specificità unica, per il suo estro  e per il suo martirio che non ha uguali persino nel quadro del più generale martirio ebraico. Le parole di Tuvim sono dolorosamente intense

e struggenti, tanto più se pensiamo che ha avuto il destino di nascere ebreo

in un paese che ha conosciuto una delle forme più virulente, diffuse e persistenti di antisemitismo, al punto di riuscire a manifestarsi anche in assenza di ebrei. Tuvim dalla sua specialissima posizione di polacco, di ebreo polacco, nutrito dalla letteratura russa rivendica la sua essenza di uomo universale e ci parla per dirci che vi è una sola possibile via ad un autentico universalismo: la rivendicazione del diritto all'ubiquità identitaria.

Moni Ovadia

 

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