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Il viaggio di Monika

Il viaggio nei territori spirituali della yiddishkeit e in quelli residuali e rinascenti del khassidismo che Monika Bulaj ha compiuto e ritessuto ripetutamente in questi tempi di atroce tirannia del danaro e di globale volgarità, ha del miracoloso. Il suo racconto si dipana con accenti umani stupefacenti e sconvolgenti appena oltre il confine della cotenna conformistica di noi occidentali smarriti e protervi. A distanza di ottant'anni ritroviamo nelle pagine di "Genti di D-o" il ritmo "giornalistico" e la passione letteraria del grande Joseph Roth di Juden auf Wandershaft, il mitico reportage che seppe raccontare l'Ostjudentum ancora vivo e pulsante nella cornice di un crepuscolo struggente e malinconico, proprio sul limitare della sua estinzione. Come è stato possibile a questa affascinante ed eccentrica fotografa e scrittrice polacca restituirci le emozioni vive dell'ebrezza khassidica del divino oggi, a distanza di oltre sessant'anni dall'annientamento quasi totale di quell'umanità? Le è stato possibile perchè Monika come una rabdomante sa cogliere nell'immagine e nella parola l'inarrestabile energia spirituale che promana dal "resto", dalla densità vitale dei pochi sopravissuti al hurbn, la distruzione degli ebrei voluta dai nazisti e vilmente accettata dall'Europa. La fibrillazione laicamente estatica che si percepisce inarrestabile nei gesti della Bulaj siano essi scatti o parole promanano da un'energia prepotente, il dybbuk dell'ebraismo polacco ridotto in cenere che la possiede. Di questo terribile crimine, tuttora percepito  con sentimenti di insofferenza, vissuto ancora con malcelato fastidio ed irritazione da molti cittadini del suo paese, Monika si fa implacabile evocatrice, quasi a volere riportare alla vita i suoi ebrei polacchi con un personalissimo yizkor, il dovere irrefutabile di ottemperare al precetto biblico: Ricorderai!. "Genti di D-o turberà a lungo le mie notti e i miei giorni" perché lascia intravvedere la possibilità che un giorno non lontano, sulla terra d'Europa, ritorni a spandersi lo spirito degli annientati tallonato dall'anima inquieta di Monika, testimone instancabile del fervore mistico di ebrei estremi che non cessano di cercare nella Torah il D-o assente che non ha luogo, che non si vede, che non si sente se non nel silenzio, il cui nome è impronunciabile e la cui esistenza può essere solo allusa attraverso gli spasmi di una "follia" eccessivamente umana.

 

Moni Ovadia

 

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