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L’ineguatezza come poesia del mondo

Il secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle con tutto il suo bagaglio di illusioni e di orrori è stato carico di straordinarie contraddizioni. Il mondo dello spettacolo ha vissuto a suo modo la natura contraddittoria del tempo di cui siamo ancora in larga misura figli.  Il secolo XX si apre con due icone dell’arte scenica che faranno trionfale fortuna: Barnum e Charlot. La logica di Barnum vincerà su tutta la linea al punto da divenire il paradigma non solo per lo show business, ma per l’intera società che nella seconda metà del Novecento diventerà addirittura la società dello spettacolo. La geniale intuizione di Barnum dovrà tuttavia pagare alla propria condizionata vittoria il prezzo di un degrado senza limiti.
Lo “sconfitto” Charlot mantiene invece il suo inalterato splendore, anzi la sua vetta poetica si innalza. Noi esseri umani, perlomeno coloro che tengono ieri ora e sempre a questa qualifica, non sanno rinunciarvi, o per meglio dire non sono disposti ad abbandonare il cammino tracciato dall’indomabile grazia della sua inadeguatezza.
Rispetto ai parametri della norma sociale tutto in lui è inadeguato: il suo abbigliamento: le scarpe troppo grosse e troppo storte, la redingote striminzita,

i pantaloni fuori misura, la bombetta sotto taglia. Non ha fissa dimora, non si sa da dove venga, sta dalla parte dei vinti, è povero per definizione, ha lo sguardo incurabilmente infantile, non cammina verso la certezza ma verso il sole della strada di cui non si scorge mai la fine.
Perchè milioni lo hanno acclamato? Forse perchè inconsapevolmente ricorda a ciascuno il piccolo uomo fragile e ciò nonostante capace di meraviglie, che è in noi.

L’esordio che il nuovo secolo apre al terzo millennio della nostra era sembra non avere contraddizioni. Ha deciso di fare l’uomo a pezzi e cambiarlo con le meraviglie di una tecnologia autoreferenziale, ma non tutti ci stanno. Gli artisti di strada per esempio che credono al valore unitario dell’uomo e della vita e lo perseguono con la grazia di un’arte povera e una scelta di vita radicale, vissuta comunque senza protervia.
Portano con sé la storia antichissima dell’uomo che si racconta e si cimenta con la grande ricchezza interiore di cui si dispone. Questi comici, cantastorie, musici, giocolieri, acrobati, clown, addomesticatori vengono dalla profondità della storia dell’uomo e continuano con lui per ricordargli chi è.
Gli artisti del Nouveau Cirque si iscrivono in questa storia millenaria che non ha bisogno di effetti speciali. Basta guardare le foto di Paolo Simonazzi che ritraggono la rappresentazione e la vita del Circo Bidone per capire la bellezza sgangherata di chi pratica un’arte al servizio della fragilità umana, fragilità piena di forza e di poesia a cui dare futuro per servire di sostegno a quel che sarà rimasto dell’umanità quando gli apprendisti stregoni delle mille tecnologie  perderanno il controllo delle forze che hanno scatenato. Una foto in particolare conservo negli occhi, è un carro che si allontana nel flou della nebbia di una strada che conduce ad un nuovo ed indefinito villaggio. Questa foto ci invita a seguoire con intensità il cammino degli artisti girovaghi perché se quella nebbia si facesse troppo fitta per noi la perdita sarebbe irreparabile.


Moni Ovadia

 

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