Una domanda di senso
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  Il prestigio internazionale del premier Mario Monti ci avrà magari salvato dal baratro alla greca, ma intanto l'Italia va sempre peggio. È un paradosso apparente che si spiega con il fatto che la fibra morale e culturale del Paese è finita sotto la suola del suo Stivale e con l'innegabile evidenza che a pagare i costi di una crisi, di cui non sono responsabili, sono sempre i soliti, ovvero i ceti deboli, sia che siano i cittadini a reddito fisso, sempre più basso, sia che siano artigiani e piccoli imprenditori che non hanno accesso ai privilegi di scorciatoie o a protezioni di varia natura. Solo una nazione solidale potrebbe affrontare la catastrofica situazione in cui versa l'Italia infestata dalle metastasi della corruzione, dell'ingiustizia sistemica e della malavita organizzata. Solo che a solidarietà e ad alleanza fra ceti produttivi stiamo a zero. La proposta di risolvere la spinosa e vergognosa questione degli esodati con un contributo di solidarietà, un prelievo del 3% sui redditi superiori ai 150.000 Euro ha scatenato la ferma reazione di Confindustria e del declinante Pdl, indignados alla sola idea che qualcuno osi sfiorare i redditi di molto benestanti, ricchi e ricchissimi. Nessuna equipollente reazione provocò il ridicolo e impunito 5% di prelievo sul rientro dei capitali esportati (reato!) e poi scudati, mentre nei paesi seri la sacrosanta tassa arrivava fino al 27% e oltre. Ora, è pur comprensibile che le persone per bene che legittimamente hanno fatto buoni e ottimi guadagni e che pagano regolarmente le tasse siano risentiti nei confronti di un balzello che si aggiunge alla più sconcia pressione fiscale del pianeta, ma allora che dire del massacro sociale, definito ridicolmente sacrifici, imposto a lavoratori, pensionati, precari, disoccupati che si sono visti decurtare il già misero potere d'acquisto di salari e pensioni? Coloro che protestano per questa una tantum, se avessero un minimo di senso della decenza dovrebbero erigere barricate a difesa dei diritti dei cittadini più deboli, ma non c'è da illudersi. La decenza e la vergogna sono state confinate nell'insignificanza da vent'anni di scempio berlusconiano. Tutto ciò sollecita una domanda di senso. Ma in quale società vogliamo vivere? Quale paradigma di relazione fra gli uomini ci proponiamo di affidare al futuro? Forse sarebbe ora di capire che questo sistema sedicente liberista è fradicio e che è possibile ricominciare a ripensare ad un'alternativa radicale senza che ciò significhi necessariamente socialismo reale. Forse una democrazia dei cittadini liberata dalla rapinosità dei potentati economici e governata da politici al servizio dei cittadini non è un'utopia ma solo possibile buon senso.

Moni Ovadia - L'Unità  -  27/11/2012

 

 

 

 

   
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