L'Italia, un paese a parte
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I principali quotidiani nei giorni scorsi hanno sparato a grandi titoli un fior di notizia:

La metà del danno prodotto dalla corruzione al bilancio pubblico degli stati europei è creato dall'Italia ed è valutato in sessanta miliardi di Euro. Un simile disastro, anche stimato solo in termini di vergogna, avrebbe dovuto provocare un terremoto. Una gran parte della classe politica, parlo in particolare di coloro che sono in politica ininterrottamente da qualche lustro avrebbe dovuto congedarsi dalla scena mediatica e ritrarsi nell'ombra, soprattutto se appartenenti ai partiti che hanno governato. Macché,  se si eccettuano le solite chiacchiere da talk show, niente. Non c'è che dire, l'Italia è un paese a parte. Le agenzie di rating, Standard & Poors, Fitch etc. Declassano il nostro Paese a causa dei suoi molteplici disastri economico-finanziari e noi veniamo ad apprendere attraverso "il Sole 24 ore" che la Corte dei Conti intende promuovere un'indagine per intentare un'azione legale contro le Agenzie di Rating e chiedere un risarcimento per danni procurati di oltre 200 miliardi di € accusandole di non avere tenuto nel debito conto l'immenso patrimonio artistico, monumentale e letterario nella loro valutazione del Bel Paese. Che prodigioso scatto d'orgoglio! Peccato che su quel patrimonio i nostri governanti non fanno altro che sputarci sopra, abbandonandolo tendenzialmente al grado con tagli indiscriminati ai finanziamenti, per incuria e per sistematica sottovalutazione. Si, l'Italia è davvero un paese a parte.  Il premier Enrico Letta, torna raggiante in Patria dopo un viaggio nelle terre arabe e riferisce che il Kuwait investirà da noi 500 milioni di €. Sono bei soldini indubitabilmente, ma se non ho disimparato a fare di conto di fronte ai sessanta miliardi della corruzione sono ben poca cosa. E, se ne aggiungiamo almeno altrettanti di sprechi, 140 di evasione fiscale, quelli incalcolabili divorati dalle mafie, si tratta di briciole. Siamo anche noi disfattisti se affermiamo che ad andarli a cercare ci sono soldi in quantità per ridurre le tasse, per fare una seria politica del lavoro, per investirli in un progetto ad ampio respiro di politica industriale, ma soprattutto nella valorizzazione intensa di quel patrimonio nel quale siamo insuperabili: arte e cultura, anche a favore di quella industria nella quale, prima degli ultimi venti anni di disastri, eravamo i primi: il turismo. Non è necessario avere frequentato le prestigiose università economico finanziare del mondo che conta, ne avere preso costosissimi master sull'economia globale per sapere che i soldi vanno presi dove ce ne sono, senza andare a spolpare le ossa esauste dei poveracci inventando nuovi nomi a vetusti e iniqui balzelli.

 

Moni Ovadia L'Unità - Voce d'Autore del 8/02/2014

 

 

   
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